Seneca, le utopie di un moralista fallito di Paolo Mieli

Seneca, le utopie di un moralista fallito Da intellettuale di corte a maestro dei manager: oggi a Roma un convegno apre le celebrazioni per i duemila anni dalla nascita Seneca, le utopie di un moralista fallito 4 ROMA UINTILIANO non lo poteva soffrire, diceva che con quel suo stile sincopato, fatto di imprevisti e frasi lampeggianti, corrompeva i giovani insegnandogli a scrivere malissimo. Diderot invece lo amava molto e giustificava persino certi suoi scritti carichi di smancerie verso il, potere. Anche Montaigne lo difen-1 deva, apprezzandolo. Mentre Melville non provava per lui alcuna simpatia: quando venne in Italia nel 1859 e vide quel busto di uomo emaciato, sofferente, per tanto tempo contrabbandato come il suo ritratto (mentre un'erma che sarebbe la figurazione veritiera lo mostra : \ -, decisamente grassoccio) disse che sembrava un banchiere di Wall Street, uno che si tormentava per gli interessi non riscossi e i debitori latitanti. A duemila anni dalla sua nascita Seneca ancora suscita polemiche, idee contrastanti. Chissà se alla fine detrattori e ammiratori (Paolo Mieli gli ha dedicato un articolo il 30 novembre '97, intitolato «Seneca, la doppiezza del moralista») si metteranno d'accordo, una volta concluse le celebrazioni per il bimillenario che si aprono oggi in Campidoglio con un convegno internazionale di tre giorni, cui seguiranno - fino al 2000 - manifestazioni in diverse università italiane (da Torino a Palermo, Bari, Napoli, Milano, Bologna), mobilitando storici, archeologi, epigrafisti, topografi, specialisti di filosofia antica, di letteratura latina. «Il filo che collega i singoli interventi e le tante iniziative è la complessità stessa del personaggio, con le luci e ombre della sua figura, il bene e il male che sempre di lui è stato detto, le ambiguità e le contraddizioni di cui fu accusato fin da quando era in vita - dice Piergiorgio Parroni, docente di filologia greca e latina all'Università di Roma, segretario del Comitato Nazionale istituito per le celebrazioni. - Trescava con gli ambienti imperiali quando rivendicava la libertà dell'homo sapiens dalle passioni, faceva speculazioni economiche spre- giudicate quando predicava la povertà e l'a scetismo, si macchia va di connivenze e debolezze interessate mentre diceva di voler aiutare gli altri a essere migliori. Ma noi vogliamo attraversare la sua opera, quello che un pensatore come lui ci ha lasciato misurandosi con scienza, filosofia, divino, morale, politica, letteratura. Voghamo calare la sua esperienza nel mondo in cui è vissuto. Il tema del convegno è appunto "Seneca e il suo tempo"». Dal suo tempo «il filosofo prestato alla politica» ha continuato a mandare messaggi disparati. Nei dialetti popolari, ad esempio, Seneca è diventato sinonimo di «donna magra, esangue» («la Seneca svenata» è un epiteto abruzzese ancora in uso) ma anche invidiosa, rapace, saputella, pretenziosa, oppure «uomo dotto», ma anche persona dagli attributi irripetibili. Per i manager tedeschi, per aiutarli a gestire ambizioni e preveggenza, la sua opera si è rivelata utilissima, un vero vademecum: in Germania, con una sua massima, si introducevano ogni settimana le riunioni di un club di potenti affaristi; da qui un delizioso libretto pubblicato anche in Italia da Longanesi, giunto alla quinta edizione, che s'intitola Seneca per i manager. Ai giovani dice molto: «Seduce la qualità della sua scrittura. L'entusiasmo per le scoperte scientifiche. La mancanza di dogmatismo. Lo spazio che lascia al dubbio. Lo spirito dell'amicizia e della colleganza contrapposto alla competitività, alla sopraffazione. Il pensiero che la vita scorre fra spe¬ ranza e la necessaria perdita della speranza. Il rifiuto del sapere per il sapere. L'amore per la natura, lo sport» dice Italo Lana, docente di letteratura latina a Torino, autore di un volume che a tutti i congressisti verrà regalato, scritto con la collaborazione di suoi allievi e ricercatori, Seneca e i giovani. La «doppiezza del moralista» che sempre gli è stata attribuita, non ha mai intaccato la sua fortuna nei secoli. «Una figura controversa» lo definisce Scevola Mariotti, illustre filologo e Presidente del Comitato per il Bimillenario. Riconosce: «Tutti i dubbi su di lui restano aperti. Voleva difendere certi valori morali o aspirava al potere? Quando fu obbligato a suicidarsi, aveva partecipato alla congiura contro l'imperatore o no? E pensava davvero - come si disse allora - di diventare lui imperatore, una volta ucciso Nerone? Era stato uno degli uomini più potenti dell'impero, come precettore di Nerone e il più autorevole consigliere del principe nei primi anni del suo regno, eppure tradì in nome della politica i principi etici che sbandierava. Tendeva ad affermare un liberalismo di tradizione repubblicana, restituendo al Senato l'antica dignità: ma fu complice o comunque testimone di gesti abietti come il matricidio compiuto da Nerone. Di positivo resta che aveva una visione più umanitaria del sistema politico, rispetto a quella dittatoriale, orientaleggiante, di imperatori come Caligola. Resta che Nerone, giovanissimo imperatore, al momento di firmare una condanna a morte, disse: "Vorrei non saper scrivere ». Molte sciabole ancora s'intrecciano sui temi che la figura di Seneca porta in primo piano: lo scontro fra morale e politica, fra l'intellettuale e il potere. Lo storico Andrea Giardina si distacca dal coro: «E' il dibattito meno interessante. L'idea di coerenza è un'idea moderna, non applicabile a una società senza partiti, in un'epoca in cui il rapporto fra morale individuale e potere si pone in altra maniera. Mettersi a caccia di coerenza politica usando i nostri valori significa usare le stesse parole per esprimere concetti diversi. E' un modo di fare storia molto in voga ma poco utile. Si fa una storia giudicante, invece di cercare di capire». Lui di Seneca ha capito questo: «E' stato un politico mediocrissimo, un fallito. Non aveva un programma per l'impero. E' difficile capire quale atto politico di Nerone, nei-cinque anni in cui gli fu a fianco, riconduca a lui. Ci fu un tentativo di riforma fiscale, che si ispirava a un principio utopistico di libertà, e che il Senato bocciò. Il provvedimento più importante della politica neroniana fu monetario, ma venne attuato dopo l'allontanamento di Seneca. Sbagliò nel giudicare negativamente Claudio, che era invece un grande imperatore. Era spagnolo, ma che venisse dalla provincia dell'impero non lo sapremmo mai dai suoi scritti: dell'integrazione fra i diversi corpi dell'impero non si occupò mai. In politica tutto quello che voleva era una monarchia moderata. Pensava a un principe governato dalla filosofia. Credeva che la filosofia potesse rendere gli uomini migliori. La società romana nella sua opera non la si trova: lui guardava lontano, non a quello che aveva intorno. Liliana Madeo Diderot e Montaigne lo amavano, Quintiliano lo riteneva un corruttore di giovani, per Melville assomigliava a un banchiere di Wall Street Credeva che la filosofia potesse rendere gli uomini migliori, ma fu complice del matricidio compiuto da Nerone Il filosofo Seneca. In basso, da sinistra, Italo Lana, Paolo Mieli e l'imperatore Nerone