TREGUA ARMATA

TREGUA ARMATA TREGUA ARMATA delle sedie sulla tribuna. Una voce femminile dal fondo: «Le hanno tolto la poltrona...». Risposta: «Ce la metteremo la prossima volta...». Ora D'Alema è in piedi, dietro il podietto di legno, lo si vede dalla cintola in su, con un effetto Farinata degli Uberti; sui due schermi ai due lati della sala, invece, la figura presidenziale appare più slanciata per quanto la tv a circuito chiuso renda pastello lo sfondo azzurro della tenda, oltre ai colori delle bandiere alle spalle del capo del governo. Poco più di un'ora di domande e risposte «in una forma più libera di dialogo, non vincolata all'ordine del giorno del Consiglio dei ministri». Ci saranno più di cento giornalisti, in piedi e seduti sulle poltroncine, più i fotografi, i cameramen, gli addetti ai cavi e alle luminarie, i due commessi che offrono il microfono. La scenografia, di calcolata sobrietà, prevede che il presidente sia l'unico ad attirare gli sguardi. Il consigliere per la Comunicazione, Rondolino, e il capo dell'ufficio stampa, Cascella, osservano leggermente defilati lo svolgersi della prima, periodica news conference. Il modello sembrerebbe ap¬ punto quello della Casa Bianca, inaugurato con Wilson, ma reso epico - e divenuto materia di studio ai tempi di Kennedy, che pure invidiava i solenni allestimenti costruiti su misura per De Gaulle. Quindi un'introduzione, lo statement, dedicata all'immigrazione, e poi le domande (nessuna delle quali è apparsa pianteci, preventivamente inserita), Sicuro di sé, tranquillo e assai meno sprezzante del solito, D'Alema se l'è cavata bene. Ha risposto su «ribaltini» (appena un po' verboso), finanziamento pubblico, conti correnti (qui ha inforcato gli occhialini c prontamente tirato fuori un dossier!, abbassamento dell'età pensionabile, legge elettorale, istituzioni europee (preparatissimo, anche su certi remoti passaggi giscardiani), privatizzazione dell'Enel (buona conoscenza dell'iter procedurale), pericoli di recessione, federalismo (qui giocava in casa, da presidente della Bicamerale) e trasporti. Ha bevuto, si è ripetutamente schiarito la gola, a un certo punto si è pure inconsapevolmente dedicato a un embrione di origami, ma soprattutto ha dato l'impressione di imo che conosce le questioni perché le ha studiate. Da un punto di vista più strettamente comunicativo, è parso di capire che il modulo dalemiano prevede una risposta abbastanza articolata che tende via via a semplificarsi e nel contempo a ripetersi con mia certa circolarità, fino al punto in cui emerge una frase a effetto, qualcosa che assomiglia a uno slogan. Quando, in chiusura, il presidente ha accennato ai suoi personali rapporti con l'informazione per auspicarne un miglioramento, i) più era fatto. Certo rimana sempre «il disturbo», ha fatto presente D'Alema, ili «veder scritte cose non vere». Ma sulla mancata definizione di non-verità - die tanto nel giornalismo politico quanto nel linguaggio dei politici richiederebbe più impegnativi approfondimenti - si è siglata la provvisoria pacificazione. Per circa tre ore, a proposito dell'utilità di questa prima news con ference, e cioè dalle 10,30 alle 13,30 le quattro agenzie a cui è abbonata la redazione romana della Stampa hanno lanciato quasi 60 dispacci, sul totale di un centinaio. Ma solo nella saletta di Palazzo Chigi si poteva capire con quanta larghezza D'Alema usi la prima persona personale: «Ho ricordato», «ne sono testimone», «io stesso sono rimasto colpito», «lio sentilo», «credo di poter dire», «sono convinto», «spero», «mi disturba». E anche questo conferma la sensazione di una leadership che tende orinai ad imporsi oltre il ruolo che la Costituzione assegna al presidente del Consiglio. Quasi un anticipo di presidenzialismo imposto dai tempi. Filippo Ceccaretli

Persone citate: Cascella, D'alema, De Gaulle, Filippo Ceccaretli, Kennedy, Rondolino, Uberti