Le città d'Italia mostran le forme
Le città d'Italia mostran le forme Napoli, una straordinaria sequenza di 120 «piante» tra '400 e '800 Le città d'Italia mostran le forme Da Raffaello a Van Wittel NAPOLI UANDO Leone X conferì a Raffaello la soprintendenza alle arti e alle antichità, gli ordinò di sguinzagliare i suoi disegnatori nel gran corpo della città pagana e cristiana per ricostruire la mitica forma urbis, i cui frammenti marmorei affioravano nel Foro. Era l'altissima sanzione deDe nascenti immagini topografiche della città, prodotto estremo fra simbolico e illusionistico del connubio fra la prospettiva brunelleschiana e la cartografia marinara e territoriale, che la dispiegavano in pittura, in disegno, nella trionfante incisione come un corpo vivente entro i suoi limiti murati, con le impronte della storia, i monumenti laici e religiosi emergenti dai blocchi delle case. L'incarico a Raffaello cade nel secondo decennio del Cinquecento. Non è quindi un caso che la sequenza di 120 immagini di città italiane, dal Quattrocento all'Ottocento, in pianta geometrica o prospettica, in ideale volo d'uccello, in profondità e dilatazione di veduta, raccolte da Cesare de Seta in una sintesi spettacolare di decenni di studi sull'immagine e la storia della città europea, si impernii sui prototipi: alla memoria storica e alle superstiti testimonianze di un grande pittore-topografo fiorentino del secondo '400, Francesco Rosselli fratello del più noto Cosimo, attivo nella prima fase decorativa della Cappella Sistina, si affianca la colossale pianta xilografica di Venezia datata 1500 da Jacopo de' Barbari, il veneziano pregiato da Dùrer, da Cranach e da Luca di Leida. L'apertura della mostra in Palazzo Reale è veramente trionfale con le «forme» di Venezia (la sequenza è regionale, e in realtà piuttosto punitiva per il Piemonte, con la sola Torino e l'assenza del «Theatrum Sabaudiae», e la Lombardia, con le sole Milano e Brescia) a partire dal- la pianta del de' Barbari, con il vento che fa minutamente vibrare la distesa equorea della laguna e ricaccia al margine alto la pallida irrilevante terraferma, il mitico profano colloquio fra Mercurio in cielo e il colossale Nettuno sul tritone in mezzo al Bacino di San Marco. Il contraltare, al centro della mostra, è costituito dall'accoppiamento, nel nome del Rosselli, della «tavola Strozzi», la panoramica bianca e azzurra di Napoli inviata nel 1473 da Filippo Strozzi da Firenze a Ferrante d'Aragona, che de Seta attribuisce appunto al maestro fiorentino, autore nello stesso anno di una veduta incisa di Firenze, e della tela con pianta prospettica di Roma del Palazzo Ducale di Mantova, della prima metà del '500, derivante dalla «Roma in tre pezzi e dodici fogli reali» di fine '400, lasciata in eredità da Francesco Rosselli al figlio e oggi perduta. Quest'ultima, con il fantasma rosato dell'Urbe quattrocentesca rattrappita fra il Foro e il Laterano entro la vastissima cerchia delle mura imperiali e punteggiata dal biancore marmoreo delle rovine antiche minutament descritte - il Marco Aurelio e i Dioscuri ancora nei luoghi di rinvenimento -, è uno straordinario esempio del prevale- re nell'immagine del simbolo e persino dell'ideologia sull'oggettività topografica. L'umanesimo della Roma classica stravince in marnerà enigmatica e persino inquietante sulla Roma cristiana, con le sue basiliche in minima evidenza e la città vaticana, con il S. Pietro originario, emarginata in alto di là da un Tevere larghissimo e dalla Mole Adriana, riscattata solo dall'apparizione bianca dell'angelo al vertice. Nella grande cavalcata di immagini di città, è questo fatto, della simbolizzazione ad uso del potere, dell'emergenza dei suoi simboli architettonici nel contesto topografico con il tempo sempre più sottilmente subordinata alle leggi del «Grand Tour», ciò che più colpisce, ovviamente in progressiva diminuzione fino alla precisione, fra romantica e scientifica, del vedutismo ottocentesco, evidenziata dal gruppo finale di litografie a volo d'uccello, parafotografiche, del francese Guesdon, così come dalla Venezia incisa dal Caffi o la Torino da Bossoli. Da questo punto di vista, il fascino rigoroso dell'arte topografica non poteva non fare qualche concessione al disteso atmosferico piacere della veduta pittorica, con il grande Van Wittel - iniziatore del vedutismo italiano ma anche erede di una scienza topografica che era vita per la sua Olanda fra terra, dighe e mare - fra Roma e Messina, Hackert a Palermo e Siracusa, la simpatica precisione «naive» della Genova di Garibbo. Marco Rosei L'Immagine delle città italiane al XV al XIX secolo Napoli, Palazzo Reale Fino al 17 gennaio da lunedì a sabato 9-22 domenica 9-20, mercoledì chiuso Sintesi di pittura e topografia, in cui mura e piazze, vie e monumenti diventano simboli ÓlVi* «ATI» OOUCSROS'Sy. SA'MMMO Clfc HyUMfc; SAK'C'VSS HQIW *<sa-o,;-.r. <, '> ÌWi'ìWMSS ■KAXC JtABEU.AM «itV'AM !.m!ì*. AfcCMlS VJj&ATÀ HWIUSU4 tìSUTÌ A destra, una «Veduta di Trento» olio su tela dipinto nel 1703 da Bernardino Zambaiti
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