Pensione alla tedesca, tanti dubbi di Flavia Amabile

Pensione alla tedesca, tanti dubbi Sindacalisti ed economisti scettici sulla ricetta-Schroeder contro la disoccupazione Pensione alla tedesca, tanti dubbi Soltanto Bertinotti è d'accordo ROMA. Liberi dal lavoro già a 60 anni, cinque anni prima di quanto avviene oggi, è la nuova ricetta delia Germania del Cancelliere Schròder nella lotta alla disoccupazione. L'Italia osserva l'esperimento ma in pochi si entusiasmano. Il più favorevole alla rivoluzione tedesca sembra essere Fausto Bertinotti, che definisce «interessante» la proposta. «Si muove spiega il leader di Rifondazione comunista - nella direzione opposta a quella che in Italia viene messa al centro di una rivendicazione politica con cui si vorrebbero sollecitare le nuove generazioni in un conflitto invece che in un patto intergenerazionale. Schròder si muove quindi su una linea giusta che è sostanzialmente quella di lavorare meno per lavorare tutti». «Bertinotti forse non ha capito la proposta di Schròder - risponde l'economista Mario Baldassarri -. Innanzitutto se volessimo applicare la ncetta tedesca all'Italia dovremmo aumentare l'età pensionabile invece di diminuirla: nel nostro Paese tutti vanno in pensione prima dei 60 anni. Al di là degli scherzi la correlazione potrebbe forse funzionare se l'Europa fosse mia cittadella chiusa». Il Vecchio Continente, aggiunge Baldassarri, deve invece fare i conti con il resto del mondo e si rischia di provocare l'effetto opposto: <(Anche all'interno della Germania la proposta di Schròder nasconde mi pericolo, quello di accentuare il carattere redistributivo e non quello propulsivo dell'economia e dunque di creare meno sviluppo e meno occupazione». Cauto, ma anche lui poco convinto sulla correlazione tra abbassamento dell'età della pensione e aumento dei posti di lavoro è Raffaele Morese, sottosegretario al Lavoro e segretario generale aggiunto della Cisl: «La proposta dice - ha mi senso in una situazione come quella tedesca in cui non esistono le pensioni di anzianità. Ma non si può credere in un grande automatismo fra abbassamento dell'età pensionabile e aumento dell'occupazione. Si può dire che mia proposta del genere può essere di aiuto. Al di là della forma e dei suoi effetti reali sui posti di lavoro, si tratta comunque di un passo che indica una tendenza all'omogeneizzazione delle politiche di pensionamento che hanno effetto anche sull'occupazione». Per Morese è comunque mi avvicinamento al modello italiano «che fa sì che il nostro sistema non rappresenti più un'anomalia, ma si tratta anche di una ricetta valida per la Germania e non per l'Italia dove esiste mi buon equilibrio fra pensioni di vecchiaia e pensioni di anzianità, che non mi sembra il caso di rimettere in discussione». Decisamente poco entusiasta anche Pietro Larizza, leader della Uil. «Non voglio dare giudizi affrettati - esordisce - ma tutte queste ricette automatiche mi pare che lascino il tempo che trovano. Non hanno riscontro alcuno nella realtà. Tutti questi automatismi, questa specie di "turn-over" obbligati in pratica rappresentano una ricetta che non funziona. Si sono verificati sia in Italia, sia in Germania casi in cui si va in pensione tardi e si ha un'elevata disoccupazione e altri casi in cui invece accade il contrario. Questo dimostra che non esiste una correlazione diretta tra disoccupazione e abbassamento dell'età lavorativa». Anche Antonio Marzano, economista di Forza Italia, è convinto che non esista questo rapporto così stretto: «La proposta tedesca va sicuramente intesa nell'ottica del lavorare meno lavorare tutti. Come tale, merita le stesse critiche rivolte all'orario di 35 ore. In realtà ridurre l'età lavorativa, mantenendo invariate le prestazioni, significa creare un maggior numero di pensionati». Chi paga, si domanda Marzano: «Questa è la domanda inesorabile da porsi. In economia non sono previsti i pasti gratis. A pagare saranno, come sempre, i giovani e le imprese sotto forma di contributi. Se questo è vero, vuol dire che la riduzione dell'età lavorativa provoca, al contrario, un aumento del costo del lavoro. Se quindi si chiede se sia possibile lavorare tutti, gli economisti consapevoli rispondono di no, non è possibile, con proposte simili si ottiene l'effetto opposto: si perdono soltanto i posti di lavoro». Flavia Amabile Baldassarri: «Rischia Morese: «Soluzione di frenare sviluppo valida in Germania e posti di lavoro» Qui va bene così» A sinistra Raffaele Morese sottosegretario al Lavoro e Pietro Larizza segretario generale della Uil A destra in alto Antonio Marzano economista di Forza Italia