«Più mezzi e alta tecnologia contro i mercanti di uomini» di S. T.

«Più mezzi e alta tecnologia contro i mercanti di uomini» «Più mezzi e alta tecnologia contro i mercanti di uomini» IL PROCURATORE MARITATI LLECCE E forze in campo nel Canale d'Otranto vanno organizzate in maniera più adeguata. Dobbiamo opporci efficacemente a questa invasione controllata dalla criminalità organizzata. Una nave che arriva a duecento metri dalla costa carica di profughi senza essere intercettata è una cosa che non fa piacere». Alberto Maritati, 58 anni, magistrato leccese, ha combattuto la Sacra Corona Unita in Puglia. Ora, procuratore nazionale aggiunto antimafia, vorrebbe più mezzi nelle mani dei militari che pattugliano l'Adriatico. Maritati abita a Otranto, vicmo al molo su cui, da gennaio a oggi, sono sbarcati quasi 17 mila emigrali. «Fino ad oggi - dice - l'attenzione è stata rivolta a quello che sul radar si definisce "ecoveloce", cioè i gommoni. Poi un giorno arriva sottocosta, partita dalla Turchia, la "Zeynep", con più di duecento profughi a bordo, e nessuno se ne accorge». Che cosa significa dare più mezzi ai militari? «Che non usiamo in maniera adeguata le tecnologie sofisticate di cui l'Italia dispone». Perché non si usano? «Non so, probabilmente perché il loro impiego è difficile e costoso. Ma ci sono gommoni che schizzano come diavoli e le nostre motovedette non sono all'altezza. O ci adeguiamo oppure e perfino inutile inseguire. Servono moderne tecnologie di intercettazione. D'altro canto, è possibile controllare che cosa avviene in una strada del Kuwait. Mi domando: perché qui no?». Appunto: perché qui no? «Non glielo so dire. Posso solo auspicare clic la strategia di risposta sia adeguata. Per il resto, posso fan; solo ipotesi, da comune cittadino». Si sono studiate a lungo le rotte albanesi. E quelle turche? «Se si riferisce all'arrivo della motonave "Zeynep", la strategia non e nuova. Oliando c'è molta gente da trasportare è improduttivo l'uso di 40-50 gommoni. Ma le organizzazioni turche non sono autonome. Indagini ci dicono che sono collegate con i clan albanesi e con frange della mafia russa. La motonave "Cometa", arrivata a gennaio scorso, era gestita da un'alleanza di questo tipo». Il senatore Pellegrino dei democratici di sinistra dice: spariamo agli scafisti. Condivide? «La pensavo come lui quando ho visto gli scafisti gettare in acqua donne e neonati. Ma è sbagliato. Sparare a gommoni carichi di carburante significa farli saltare in aria, uccidere. E poi c'è un altro aspetto. In Albania alcune forze politiche di opposizione stanno tentando scorrettamente di sollevare un senso di ani i-italianità. Quindi, nervi saldi». E quindi, repressione inutile? «Il fenomeno dell'immigrazione non è inedito. Esiste in altre parti del mondo, da tempo. Alcune popolazioni nordafricane, del Medio Oriente, di Jugoslavia, Turchia, Kurdistan, Albania, Kosovo vivono situazioni drammatiche. Se fossi dall'altra parte dell'Adriatico, farci quello che fanno loro. La Commuta Europea, però, non fa il proprio dovere fino in fondo. Lascia gli oneri solo all'Italia. Va soddisfatto il bisogno incontenibile di emigrazione. A meno che non si mettano mine sulle spiagge e filo spinato in mare. Un'assurdità. L'esodo non si può fermare. E l'altro pericolo è trovarsi di fronte uno Stato mafioso». L'Albania? «Certo. Nascono edifici modernissimi e negozi di lusso nonostante la crisi. A Valona non c'è scelta: o stai con i banditi o vai in Italia. Gli introiti dei clan sono decuplicati, la malavita albanese ha messo radici anche in Liguria, Piemonte, Lombardia. Traffica in droga, armi, clandestini. Gestisce la tratta delle donne. Terrorizza, uccide, assieme ai criminali del Kosovo, controlla la pista balcanica. Il governo italiano sta facendo molto, la procura antimafia collabora con quella albanese. In Albania ci sono persone corrotte, ma anche magistrati onesti. Il capo della polizia di Valona è una persona onesta. Ma sono impreparati, non hanno strumenti professionali e materiali. Serve un progetto internazionale di aiuti. Ma in pochi mesi, non in cinque anni». [s. t.]

Persone citate: Alberto Maritati, Maritati