«Fona Fausto, non mollare»

«Fona Fausto, non mollare» Folla ai comizi del segretario dopo la scissione con Cossutta e il passaggio all'opposizione «Fona Fausto, non mollare» Bertinotti, il sogno della vecchia sinistra PERSONAGGIO IL LEADER Di RIFONDANONE CTORINO E n'è di benzina? Tre quarti di serbatoio nella Opel blu familiare di Favaro. «E allora andiamo». Il segretario è appena arrivato. «Che bello», dice Bertinotti fuori dalla scorrevole di Caselle. C'è il compagno assessore Alberione, ecco Gianni Favaro, segretario di Torino. Ci sono i compagni Massimo, Massimo e Michele che faranno da scorta; i due funzionari della Digos: «Piacere», dice il segretario. C'è un signore che gli va incontro e nessuno sa chi sia: «Tenga duro, onorevole». C'è l'indecifrabile provincia del vecchio Piemonte che aspetta. Come va segretario? «Sono stato nelle Marche, in Abruzzo, in Molise. Tantissima gente, tantissima passione, le gente sente un senso di... liberazione». E qui? «Vedremo, da queste parti è sempre un'incognita». Comincia così il viaggio di Fausto Bertinotti dentro la sua nuova identità, la sua scalata nell'oscurità di leader scomparso dai telegiornali, l'attraversamento del deserto di uno che ha rotto il governo Prodi e sfregiato la sinistra. Quanta gente verrà ad ascoltarlo? Andiamo, è sabato pomeriggio, il sole colora le montagne e l'aria è leggera. Si va a Ivrea, ex capitale dell'informatica; oggi della deindustrializzazione. All'hotel La Serra, quello a forma di macchina per scrivere, lo aspettano con una lettera di cassintegrati: «Qui è venuto anche Fini, ma in centoventuno giorni lei non ha trovato un minuto...» Si sente in colpa? No. Sorride: «Sui fronti di lotta siamo tranquilli». Qui a Ivrea si vota. Arriva il sindaco Maggia con il papillon e l'aria svagata da intellettuale. Era imo dei sindaci di quell'area che fu chiamata «preulivo» e che nell'epoca di Tangentopoli servì da maschera ai partiti. Adesso, dice lui, «la stagione ò finita». Resta a casa il professore Giovanni Maggia e il sindaco lo fa un consumato uomo di partito. «Sconcertante», dice Bertinotti. Ci sediamo al caffè, Maggia racconta e Fausto ascolta. «Sono venuto per simpatia e per cortesia». E adesso? Nel centro sinistra ci sono sei liste. Ognuno corre per sé. Intorno a Bertinotti c'è una curiosità sDenziosa. «Ciao». Come stai? Vecchi compagni, vecchie storie. «Ricordi il '79? La prima grande crisi Olivetti?» Bertinotti sorride: «Riempimmo la piazza di gente, una manifestazione straordinaria». Socchiude gli occhi e allarga il braccio come se potesse ancora accarezzare quelle teste. Uno si fa avanti sospingendo la figlia: «Onorevole, ecco Marianna». E poi: «Marianna, guarda Bertinotti, lo vediamo sempre in televisione». Ciao-ciao. Auguri. Ma chi è? «Aliberti Alfonso, cugino di Enzo Caiazza». Chi? «Caiazza, imo dei 61 licenziati Fiat». Quando? Anno 1979, anno di piombo, lotte di piombo. E chi se ne ricordava più? Al botteghino della sala vendono tessere per il ciclo di film in «lingua inglese». Dentro - trecento e passa posti - ci sono duecentotrentasei persone sedute e una ventina in piedi. Un centinaio hanno meno di trent'anni; parec¬ chi più di sessanta, come Candida, 28 anni di Olivetti, che ci dice: «Io lo ammiro molto, anche se non voterò per lui». Già deciso? «Non so, sono venuta ad ascoltare. La crisi di governo mi ha lasciato l'amaro in bocca. Ci devo pensare, ma sono depressa». Attacca il segretario: «Lo strappo lo hanno fatto loro, da posizioni moderate. Abbiamo tanti nemici: le destre, i padroni... Ma il più subdolo è la rassegnazione. Ecco noi ci siamo ribellati: non è vero che sono tutti uguali, noi non siamo uguali». Applauso. Convinti? Nicoletta Balzaretti, 20 anni, ed Enrico Bernardi, 23, Magistero e Pohtecnico, un testo di Dewey sotto il braccio («Democrazia ed educazione»): «Ci dobbiamo pensare». Ha fatto bene a fare cadere il governo Prodi? «Sì». La Opel blu di Favaro punta su Asti, il «buco nero» di Rifondazione, il 99 per cento del partito traslocato con Cossutta al seguito del leader locale Claudio Caron, diventato sottosegretario di Stato. «E pensare che con noi era segretario», scherza Favaro. Bertinotti: «Sarebbe stato più semplice andare a Milano, no?». Comunque anche qui non è male. Sala della Provincia stracolma, duecentocinquanta e forse più, litigi a non finire per questa scissione, come ci racconta Luisa davanti al pacchetto di nuove tessere: «Lunedì si decide, volevano lasciarci da pagare tutti i debiti, trenta milioni o giù di lì, non volevano nemmeno darci il telefono...». Si racconta di clan e famiglie cossuttiane, il segretario del partito cognato del segretario della Cgil; altre mogli, altri parenti. Una razza dirigente passata di là. E gli iscritti? «Vedremo». Qui, intanto, c'è il vecchio Giamii Alasia che ogni volta presentano come «prestigioso comandante partigiano». Lui se la ride e racconta a un compagno: «Avevo 18 anni e ij cumandava gnatica le baie» (Non comandavo neanche le mie palle). Ma va bene lo stesso. Alasia ha ironia: «Avevo molto ottimismo della volontà e nessun pessimismo della ragione». Come Fausto: «Stiamo vivendo un evento, abbiamo liberato un sovrappiù di passione politica per tutti coloro che si ribellano all'omologazione. Ecco, sì: Rifondazione è indispensabile». Domenica mattina, teatro Alfieri, Torino, strapieno fin sopra, in galleria, come - ricorda il compagno Andrea Filippa - non si vedeva «dalla prima volta che venne Natta segretario del pei». Bertinotti va al massimo: «Come diceva Lenin, c'è bisogno di sognare». Lenin? «Sì un grande realista e un grande rivoluzionario». Si finisce con l'Internazionale e Bandiera rossa. Ultima tappa è alla bocciofila di Borgaro, pranzo col segretario a prezzo politico: 35 mila lire. Contento? «Commosso». Però, Bertinotti, ci dica una cosa: in tutta questa storia, lei non si è mai sentito uno strumento della destra? «Mai». Cesare Martinetti «No, in questa crisi non mi sono mai sentito uno strumento della destra» UN MESE FA LO STRAPPO Quella stretta di mano sopra la sua testa Due immagini emblematiche di Fausto Bertinotti: a sinistra il segretario neocomunista attorniato dai sostenitori di Rifondazione in uno degli ultimi comizi Accanto la stretta di mano tra Armando Cossutta e Oliviero Diliberto, «sulla testa» del segretario il 7 ottobre in aula a Montecitorio Dopo il ritiro della fiducia al governo Prodi, Rifondazione ha consumato la scissione con l'uscita dei «cossuttiani» e la formazione di un nuovo partito (il Pdci) della sinistra