Marta Passò, la ministra ombra
Marta Passò, la ministra ombra Un team di fedelissimi è già al lavoro mentre sembra consolidarsi il feeling con Tony Blair Marta Passò, la ministra ombra Si prepara un network al servizio della Farnesina I PIANI DEL GOVERNO yla politica^ T estera j ROMA. Le novità del governo di Massimo D'Alema in politica estera sono assai più di quelle che sembrano a prima vista. La conferma di Lamberto Dini alla Farnesina e di due sottosegretari (Rino Serri e Patrizia Toia) su quattro, così come le reiterate dichiarazioni in aula del premier sulla continuità delle linee di fondo del governo Prodi, dimostrano la scelta del neo-premier di entrare in punta di piedi sulla scena internazionale. Ma disegnano solo una faccia della medaglia. Per scoprire l'altra bisogna ascoltare le nuove voci della nostra diplomazia. Salendo due rampe di scale nello stabile accanto a Botteghe Oscure, al numero 11 di via dell'Arameli, si arriva al Centro Studi di Politica Internazionale (CeSpi) dove, in una stanzetta-archivio, vive e lavora Marta Dassù, chiamata da D'Alema a Palazzo Chigi come consigliere per la politica estera. Meneghina quarantenne con la passione per la storia maturata durante gli studi a Firenze con Giuliano Procacci, Marta Dassù ha trasformato il «Cespi» nel laboratorio internazionale della sinistra italiana, dagli anni del terzomondismo fino a Clinton e all'Euro. L'angolo di mondo che più ama è la Cina, ma in 15 anni di studi, ricerche e convegni ha messo a fuoco una preparazione che lei stessa detinisce «gcneralista». A Palazzo Chigi la Dassù si occupa di «politica e sicurezza» e fa parte del triangolo di consiglieri del premier per la politica estera assieme a Nicola Rossi (economia) e Pier Carlo Padoan (economia internazionale). «L'idea è di creare un network di politica estera affiancando l'azione del governo con l'apporto di centri studi e specialisti di settore» spiega confermando il progetto di un vero e proprio pensatoio al servizio delle feluche. «D'altra parte - aggiunge anche la riforma della Farnesina prevede un legame fra i centri studi e l'unità di pianificazione e coordinamento dell'azione diplomatica». Un altro pilastro di questo pensatoio è destinato a diventare la rivista «Limes» di Lucio Caracciolo. Se il metodo è quello del «network», le idee della Dassù guardano soprattutto all'Italia come motore dell'Europa unita, del suo rafforzamento istituzionale, della sua capacità di garantire la sicurezza e di diventare soggetto unico dei nuovi equilibri mondiali politici ed economici. «Per mantenere un ruolo di leadership - spiega - è necessario rinunciare ad un concetto statico di sovranità passando dagli interessi nazionali ad un comune interesse europeo». Il primo banco di prova è la sicurezza: «Per riuscire a gestire crisi regionali come Bosnia e Kosovo, l'Europa deve acquisire una capacità di azione propria dotandosi non solo di un'unica politica estera ma anche di una propria identità di difesi'». La recente apertura del premier britannico Tony Blair sullo scottante tema ha rafforzato la convinzione che è giunto il momento per questo passo: ((Arrivare a consentire che l'Europa della difesa possa usare le risorse della Nato in una crisi anche se gli Stati Uniti non partecipano, secondo quanto già deciso dal Consiglio Atlantico di Berlino nel 199S» dice la Dassù, convinta che «ciò non significa allontanarsi dagli alleati americani o dalla Nato, che vedrebbero con favore un'Europa pronta ad assiunersi responsabilità dirette nel campo della sicurezza». In fondo a questa strada c'è la costituzione di un «pilastro europeo nella Nato» ovvero nuovi modelli di chiesa per i partner, Italia compresa. Il capitolo del rafforzamento dell'Europa come soggetto politico, caro agli studiosi del «CeSpi» guarda lontano: mi unico seggio nel Consiglio di Sicurezza, un'unica voce al G-8 e nel Fondo monetario internazionale. D'Alema, parlando ad Orvieto, ha già compiuto un passo in questa direzione pronunciandosi a favore di una «rappresentanza comune europea» nelle istituzioni finanziarie necessarie al governo dell'economia globale. Così, idea dopo idea, l'impronta dell'esile Dassù con gli hobbies di tennis e golf nonché appassionata lettrice di Henry James - si fa sentire e a Botteghe Oscure c'è già chi scommette su di lei come vero astro nascente, destinata a diventare una sorta di «Madeleine Albright italiana». Assieme a lei si fa avanti un altro quarantenne progressista, l'ex responsabile Esteri Umberto Ranieri diventato sottosegretario agli Esteri per l'Europa, che promette da subito «impegno per le riforme istituzionali tese ad accrescere il profilo politico dell'Ue dopo l'Euro». Ma nel firmamento della politica estera del governo non ci sono solo i volti nuovi dei progressisti. A ben vedere, sono più d'uno gli agguerriti esperti di affari internazionali che provengono dall'area degli ex de e con i quali D'Alema (e Dini) dovranno fare i conti. Gian Guido Folloni (Udr), titolare per i Rapporti con il Parlamento, è uno storico apripista del dialogo col mondo arabo ed in particolare con Libia ed Iraq. Enrico Letta (Ppi), ministro per le Politiche Comunitarie, si intende (e non poco) di Algeria mentre sui temi europei già mette le mani avanti: ((Attenzione a non eccedere con Keynes». Ovvero, troppa politica rischia di strangolare l'Euro. E poi c'è Cossiga. Un suo fidato collaboratore, Valentino Martelli, è diventato sottosegretario agli Esteri sommando a sorpresa alcune delle deleghe più delicate: Medio Oriente, Asia, fonti energetiche del Mar Caspio, Onu, Ambiente. «Il nostro presidente d'onore di politica estera se ne intende - promette - e non mancherà occasione per dimostrarlo». Un primo segnale - tanto per saggiare il terreno - l'Udr lo ha già inviato, criticando gli esigui fondi stanziati per celebrare il 50° anniversario della formazione della Nato. A sinistra della Quercia invece spicca il cossuttiano Guardasigilli Diliberto che ha un ben noto interesse per i Paesi che scottano: l'Iran e, ancora di più, la Corea del Nord. Maurizio Sviolinar! A sinistra Umberto Ranieri A destra Enrico Letta
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