«D'Alenili segretario grazie u me»

«D'Alenili segretario grazie u me» «Con Massimo e Walter un'avventura cominciata all'inizio degli Anni 70» «D'Alenili segretario grazie u me» Fassino: nella Fgci nacque la nostra amicizia I NTERViSTA LA SINISTRA DAL PCI AL GOVERNO LA SVOLTA DI RIMINI VELTRONI SROMA IAMO un gruppo, un gruppo di amici: io, Massimo, Walter e Fabio. Non dimentichiamo Mussi, che al nostro interno ha sempre ricoperto un po' il ruolo di papà. Tanto che lo clùanhamo "il babbo", anche se ha soltanto cinquantanni, uno in più di me e di D'Alema». Piero Fassino racconta. Ricorda com'è nato il sodalizio tra quei «giovani comunisti» che di strada ne hanno fatta tanta. Fino a ritrovarsi ancora insieme, ma in un partito che non è più comunista, non più all'opposizione ma al governo. Anzi ai vertici del Paese. D'Alema presidente del Consiglio, Veltroni segretario di una delle più forti «compagini socialdemocratiche» d'Europa e lui, Fassino, ministro e Fabio Mussi potente presidente dei deputati. Com'è cominciata questa avventura? «Alla Federazione giovanile comunista. Io, Massimo e Walter veniamo da lì. Era l'inizio degli Anni 70: segretario del Pei era Longo. D'Alema stava alla sezione universitaria di Pisa con Mussi, Veltroni era già nella Fgci di Roma. Io venivo da Torino e portavo l'esperienza maturata in una grande città operaia». La prima battaglia? «Ci dovevamo muovere su due fronti: intanto riaffermare la presenza dei giovani comunisti e riconquistare l'agibilità politica nelle scuole e nelle università, strappandola all'egemonia dei movimenti dell'estrema sinistra. Poi, assumere il ruolo di stimolo critico nei confronti del partito. Era una Fgci alquanto vivace, fatta di persone molto detenninate, di valore: mi riferisco anche ai più "anziani", a Imbeni, a Paolo Franchi, oggi editorialista del Corriere della Sera, a Nando Adornato, che dirige Liberal e ad altri ancora». L'avete vinta quella battaglia? «Ottenemmo un grande successo alle prime elezioni degli organismi rappresentativi della scuola. Un successo inaspettato perché si dava per scontata la vittoria del facile entusiasmo dello spontaneismo dei gruppi extraparlamentari». Era anche il momento degli scontri coi fascisti. «Certo, venivano alla luce le trame nere, c'erano gli attentati, la strategia della tensione. Noi lavoravamo per costruire una reazione democratica senza cadere nella suggestione dello scontro violento. Tutto questo senza rinunciare a stare nel movimento». Poi D'Alema diventa segretario della Federazione giovanile. «Lui divenne segretario perché io dissi di no». E' lei, dunque, l'artefice della fortuna di D'Alema. «Le cose andarono così: nel 1975 c'erano due candidati contrapposti al vertice della Fgci. Entrambi rappresentavano la generazione più "anziana": erano Paolo Franchi e Amos Gecchi. Al partito non piaceva, però, che l'organizzazione fosse divisa in due e allora - come spesso accadeva allora - invece di andare al voto si cercò una terza candidatura che fosse gradita ad entrambi gli schieramenti o che, comunque, potesse smussare la contrapposizione. Pecchioli fece una sorta di sondaggio e venne fuori il mio nome. Mi chiamò Berlinguer e mi offrì la segreteria. Parlai e riparlai con Pecchioli e Berlinguer, ma non me la sentii di accettare». Come mai? «Da un lato non volevo lasciare Torino. Dall'altro mi sembrava che qull'incarico fosse al di sopra delle mie forze. E allora, di fronte all'empasse si ricorse a Massimo D'Alema, che intanto era entrato nel partito come segretario cittadino a Pisa. Lui accettò e mi ricordo che subito dopo venne a Torino per proponili di stargli accanto nel nuovo incarico, lo rimasi a Torino. Tutto ciò non ha impedito che prima Berlinguer e poi Natta investissero molto nel gruppo dei "ragazzi". Quelli che Cossiga chiamerà "I ragazzi della via Paal". Nel 1983 io divenni membro della direzione del partito. Avevo trent'anni ed ero il più giovane. E con me emtrarono Bassolino, D'Alema e Mussi. Veltroni ci raggiungerà nell'86. Natta, poi, ci portò tutti in segreteria nell'87. La nostra è un'amicizia antica e profonda, possiamo pure divergere ma poi ci ritroviamo sempre». E adesso siete al vertice. «Com'è ovvio quando mi gruppo dirigente matura una esperienza, si assume responsabilità e questo lo porta poi ad avere una posizione di primo piano. Un gruppo che ha diretto il partito con Cicchetto fmo alla svolta, l'ha fatta e gestita tutta. Ha dovuto gestire il passaggio drammatico e travagliato del cambiamento. Un cambiamento il cui merito va riconosciuto innanzitutto a Occhetto che ha fatto mia cosa straordinaria. E si è dovuto, inoltre, far carico - quel gruppo - di reggere il contraccolpo della sconfitta del '94 e ricostruire le condizioni per arrivare al successo del '96». Di voi, è Veltroni il più «atipico», più attento alla comunicazione che alle strategie politiche? «La carriera di Walter, a ben vedere, non è quella classiè&dei leader del partito. Lui prima di altri ha capito che bisognava imparare a governare i mezzi di comunicazione e perciò non ha cercato - anche per il suo carattere - incarichi e posti strategici. Ciò gli ha procurato l'alone di teorico del "buonismo", ma si sbaglia chi crede che buono equivalga a mollaccione. Chi pensa così non conosce la determinazione di Walter». Non le farò il gioco della torre... <(Anche perché dalla torre mi butterei io...». E' più legato a Massimo o a Walter? «Sto bene con entrambi: a cena an¬ drei da D'Alema perché, come tutti sanno, in cucina ci sa fare, al chema farei scegliere Veltroni, ed anche allo stadio, visto che siamo juventini». E Mussi? «Quello è il "babbo" e quindi il consigliere saggio». Vi siete mai divisi? «Bisogna sapere che possono accadere tante cose, ma l'importante è ritrovarsi. Com'è avvenuto nel '94, quando ci siamo divisi per la designazione del successore di Occhetto: io e Mussi appoggiammo Veltroni in contrapposizione con D'Alema. Ma quella vicenda non ha incrinato il nostro rapporto. Tanto che ci siamo ritrovati quasi subito: al consiglio nazionale di qualche mese dopo votammo ancora tutti insieme e una parte di quelli che avevano votato D'Alema votarono un altro documento». E il momento in cui siete stati più compatti? «Fu anche il più difficile: la svolta, il congresso di Rimini, la fine del partito comunista. Eravamo tutti convinti di aver intrapreso una strada senza ritorno seguendo la scelta di Occhetto. Ricordo il 13 ottobre dell'89, lunedì a Botteghe Oscure, dopo il discorso del segretario. Massimo, Walter, io, tutti sapevamo che non c'era alternativa, anche se stavamo cambiando qualcosa della nostra vita». Francesco La Licata «Il momento più difficile: sapevamo tutti che non c'era alternativa anche se stava cambiando la nostra vita» «Ha l'alone di teorico del "buonismo", ma si sbaglia chi crede che buono equivalga a mollaccione» .1 ministro Piero Fassino Interno «Con Massimo e Walte«D'Alenili sFassino: nella .1 ministro Piero Fassino Il presidente del Consiglio Massimo D'Alema Alla sua destra il segretario dei ds Walter Veltroni

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