Gingrich, il contrappasso

Gingrich, il contrappasso Le dimissioni del leader repubblicano: un boomerang gli spot a raffica sull'impeachment Gingrich, il contrappasso Vanti-Clinton prima vittima delSexgate LO SPEAKER DELLA CAMERA NEW YORK DAL NOSTRO INVIATO C'è qualcosa di crudelmente esemplare nel destino che oggi s'impacchetta e porta via dalla scena politica americana l'ingombrante presenza di Newt Gingrich. Pare una vendetta studiata a tavolino da una divinità rancorosa e democratica o, peggio, immaginata da Hillary Clinton, nella più perfida delle sue fantasie. E', di fatto, una nemesi senza scampo, in cui tutte le frecce scagliate ritornano come boomerang, tutti i conti vengono presentati, tutti i danni trasformati in beffa e l'uomo, solo come un cane, guaisce nella cuccia che sognò Casa Bianca. Ora che Gingrich affonda nella polvere dell'oblìo e i suoi alleati di ieri ce lo spingono per rifarsi un futuro, bisogna riconoscere che questa fine è troppo amara anche per uno come lui, perché i suoi avversari non meritavano l'immonda gioia che oggi provano nel vedergli restituito colpo su colpo, con una precisione che diventa ferocia. C'è un curioso, speculare destino che unisce Newt Gingrich a Bill Clinton, come fossero i due re nella stessa carta e fa sì che se uno sta sopra, l'altro, inevitabilmente, si trovi a testa in giù. A rileggerne la storia, sono, infatti, sorprendentemente simili. Entrambi vengono da famiglie modeste dell'America profonda. Tutti e due restano orfani di padre e prendono poi il cognome del genitore adottivo (Clinton sarebbe, in realtà, Blythe, Gingrich: Me Pherson). Clinton rivela di sognare la presidenza a 10 anni. Gingrich annuncia di voler fare lo speaker al Congresso a 14. Entrambi amano i cani. Nella biografia ufficiale inserita nel suo web-site, Gingrich ricorda di aver rischiato la vita, a 11 anni, per salvare il suo botolo, di nome «Orgoglio», caduto in un crepaccio mentre giocava sul ghiaccio. Un amore per le bestie quasi fraterno, che lo spinse, a 10 anni, a progettare uno zoo di Stato e andare in autobus da solo fino al municipio per presentarlo al sindaco, conquistando il primo titolo sui giornali. Curioso che uno che si sente così in famiglia tra gli animali abbia poi definito spregiativamente «cagna» Hillary Clinton. Sarà perché per le donne non ha grande stima, né affetto. Ne ha avute meno di Clinton, ma non erano meno inquietanti. Ha sposato la sua professoressa di matematica del liceo e l'ha lasciata per una donna più giovane quando si ammalò di cancro abbandonandola come un cane nell'afa sull'autostrada della sofferenza. In politica, il suo destino ha sempre incrociato quello di Clinton e conosciuto fortune inversamente proporzionali. Gingrich conquista la ribalta e il Congresso nel '94, quando la presidenza Clinton tocca il fondo, le sue politiche sociali vengono rigettate, il suo progetto di riforma per l'assistenza medica bocciato e l'America firma, invece, il «Contratto» in 10 punti (meno tasse, meno lasse, meno tasse...) proposto da Gingrich, che resta la prima, più luminosa e ultima delle sue idee (copyright per l'Italia: Silvio Berlusconi). Nel '95 Clinton è una stella morente e Gingrich brilla: uomo dell'anno per «Time», insignito della qualifica di «Eroe dei contribuenti» e del prestigioso premio «Miglior amico degli anùnali dello zoo di Atlanta». Ha tutto per conquistare il cielo, ma, come Bill, lo divorano l'ingordigia e il talento per l'autodistruzione, con la differenza che quell'altro rimbalza, questo, sarà il peso, sprofonda. Con istinto cagnesco, azzanna. Chiude le porte dell'amministrazione in faccia a Clinton. Quello si fa portare una pizza da Monica Lewinsky, resta in ufficio fino all'alba, conquista l'aureola del martire e rivince le elezioni del '96. Per due anni «Orgoglio» Gingrich gli abbaia contro. Lo vede annunciare il pareggio di bilancio e adottare il cane Buddy, s'infuria, ma non trova polpa o polpaccio da mordere. Il destino gli manda avvisi, di quelli che non si dovrebbero trascurare. Gli ricorda che «l'accidente gira gira e cade in testa a chi lo tira». Gingrich finisce sotto accusa per le stesse violazioni etiche che aveva rimproverato al precedente speaker, il democratico Wright, sbalzandolo. Riceve una censura, paga una multa di 300 mila dollari, si dimena. A gennaio, finalmente, l'osso. E la carne: Monica Lewinsky. Gingrich azzanna. Reso astuto da quattro anni di politica, lo fa nell'ombra. Dopo un morso iniziale, si ritira e anzi, pubblicamente, fa il moderato, fingendo di non voler abbattere Clinton per una cosa che lui, uomo di mondo, comprende. Dalla cuccia, nottetempo, ringhia ordini alla sua muta: «Andate e dilaniate». Accecato dal sangue del presidente ferito, insiste quando sarebbe più nobile e produttivo ritirarsi. Non coglie i segni dell'opinione pubblica, né quelli del destino: fa trasmettere il video della testimonianza in televisione, di lunedì mattina, davanti a un Paese stanco e disgustato. Ordina una raffica finale di spot elettorali per l'impeachmet davanti a un elettorato che vuole risposte ai problemi concreti. Quattro anni dopo aver rovesciato le politiche sociali, viene da queste affondato. L'America rescinde il contratto. Gingrich è senza lavoro. Nell'ora del tramonto, la sorte si accanisce. Solo nella sua cuccia guarda, lui che aveva proposto di smantellare la Nasa, il trionfale ritorno dallo spazio del democratico John Glenn, riceve l'ipocrita encomio dei compagni di partito che termina con l'ironico «Godspeed, Newt», vai con Dio, Newt, e il perfido attestato di stima di Bill Clinton per un avversario «worthy», che, a dispetto del vocabolario, non va tradotto «valido», ma «benedettamente autolesionista». Ascolta dalla Casa Bianca, alto alla Luna, l'ululato di gioia di Hillary. E ingoia la polpetta avvelenata del suo futuro. Gabriele Romagnoli La Casa Bianca gli rende omaggio con un attestato di stima I compagni di partito lo liquidano con un «vai con Dio» Un curioso, speculare destino unisce la storia personale e politica del Presidente a quella del suo principale avversario Newt Gingrich e, a destra, Bill Clinton

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