Amarcord In rivoluzione A Mosca con i nostalgici di Antonella Rampino

Amarcord In rivoluzione A Mosca con i nostalgici L'editore Teti guida un gruppo di comunisti italiani da Ziuganov, 81 anni dopo Amarcord In rivoluzione A Mosca con i nostalgici — ■ ' REPORTAGE ■ ■ ■ - .. MOSCA DAL NOSTRO INVIATO «Hurrà! Hurrà! Hurrà!». Nella piazza della Lubjanka esplode il grido, il compagno Ernesto di Milano si avvolge finalmente soddisfatto nella bandiera rossa che gli han venduto come cimelio della rivoluzione su una bancarella di San Pietroburgo, e i vessilli dei comunisti italiani, bandiere vecchie del Pei, bandiere seminuove di Rifondazione, bandiere nuovissime e dal brand ancora incerto del Partito dei comunisti italiani sventolano alte. Dal palco Gennadi Ziuganov arringa la folla, chiede le climissiorii di Eltsin, e ascolta rapito, lui che è il comunista segretario del partito di maggioranza, ma soprattutto un vero russo dal punto di vista emozionale, una cassetta di «Bandiera rossa» che la italjanskij delegatsia gli ha portato in regalo. Hurrà era lo stesso grido che nella notte tra il 24 e il 25 ottobre del 1917 risuonò tanto forte da soffocare il crepitio delle mitragliatrici bolsceviche, l'urlo del giorno della presa del Palazzo d'Inverno che nell'odierno calendario, il gregoriano, corrisponde al 7 novembre. Ma tra quei giorni di ottantun anni fa e oggi, in comune c'è davvero scio quell'hurrà. Scomparso è soprattutto il miracoloso addensarsi di speranza che è qualità della rivoluzione. In piazza, ci sono oggi solo visi stanchi e tristi di pensionati russi che inalberano cartelli contro Eltsin e collage nei quali l'inviso presidente della Russia è accomunato a Gorbaciov, Kohl, Clinton e Papa Wojtyla. Oggi, nella Mosca che ha visto sfilare in altri anni milioni di comunisti, ci sono in piazza solo «tra le 10 e le 20 mila persone», come dice la Tass, «meno di 10 mila», secondo le stime della polizia moscovita e della France Presse, 200 mila secondo gli organizzatori. Soprattutto oggi, 0 Cremlino manda i suoi bagliori in lontananza, la storica Piazza Rossa è stata negata dal sindaco Luzhkov, e dunque la rivoluzione si celebra davanti alla Lubjanka, tetro quartier generale e tristemente famosa prigione del Kgb. Ma nonostante tutto, nonostante siano anni, questi nostri, in cui è comune, pedagogico e definitivo l'esercizio di condamia del sovietismo, una cinquantina di italiani, comunisti integrali, leninisti irriducibili, quasi una force de frappe della sinistra che in Occidente è in via d'estinzione, sono lì a manifestare. Sono, soprattutto, entusiasti, sprigionano qualcosa che assomiglia alla fe- licita, e la declinano scattando fotografie a ripetizione, riprendendo sfilata e comizio con le loro videocamere, e poi corrono all'albergo Comos a rivedersela tutti insieme. Eppure si sono trovati a fare i conti per una settimana con Tatiana, guida turistica di chiara fede zarista. «Ecco a voi qui a destra l'incrociatore Aurora, da dove scesero i quindici bolscevichi che presero il Palazzo d'Inverno, e lì a sinistra, dove prima c'era la statua di Lenin, il monumento allo zar Nicola I, imperatore illuminato, come del resto tutti i Romanov...». Tatiana conta con ingenua semplificazione mia verità storica, perché 0 colpo di mano che lo stesso Trotzkji definì «da ingegneri» fu cosa di poche ore, e facile, dato clae il governo Kerenskji era a tal punto inconsistente che il Palazzo d'Inverno veniva presieduto da imberbi cadetti, per giunta sbronzi di vino di Borgogna bianco e rosso. Ma quello che dice genera nel gruppo di comunisti italiani sconcerto misto a rabbia. E allora Giselle Geymonat, vedova del filosofo della scienza Ludovico, scende dal pullman trascinando per la collottola Tatiana la zarista, e con un tono da generale Molotov, in perfetta lingua russa, le schiarisce le idee. Il viaggio è organizzato da Nicola Teti, iscritto a Rifondazione comunista, editore sin dai tempi di Togliatti del Calendario del Popolo. All'epoca serviva per ricordare, invece che le ricorrenze di Santa Romana Chiesa, le tappe gloriose dell'avanzata del comunismo nel mondo. Oggi è un mensile che per l'occasione ha in copertina il viso gioviale di Ziuganov e il titolo «E' fallita in Russia la restaurazione capitalistica». Teti ha portato utenti del turismo politico per anni a Mosca, dopo la caduta dell'Italturist. L'anno scorso hanno incontrato Ziuganov che da un compagno italiano si sentì chiedere: «Gennadi, ma quando vi siete accorti che Gorbaciov era un revisionista, perché non l'avete fatto fuori?». E questa volta, com'è come non è, col compagno Gennadi s'è fatto un giro a deporre garofani sulle tombe di Andropov, Breznev, Gagarin, s'è andati a far visita alla salma imbalsamata di Lenin, ma per il resto «impegni inderogabili» hanno impedito ogni colloquio. Al suo posto, alla Duma, li ha ricevuti il numero due Kupzov, il quale s'è sentito dire «Valentin, ma lo sai che di faccia sei identico a Eltsin?». Così, ignari dei cartelli pubblicitari «Wall Street in Moscow», e trascurando decisamente di acquistare le magliette «Me Lenin» con il marchio di Me Donald sovrapposto al volto di Vladimir IIjic, il viaggio è proseguito tra pranzi in cui si cantava l'Internazionale tra lo stupore dei camerieri russi, e cene in cui ci si accapigliava: è meglio Bertinotti o Cossutta? «C'è poco da scherzare», dice Piero, elettrotecnico sessantenne, ex servizio d'ordine del Pei di Bologna: ((Abbiamo dato la vita per costruire il Pei, poi è arrivato Occhetto, e infine quei due che hanno litigato. Adesso non abbiamo più nulla. La Russia? Beh, potrebbe andar meglio. Ma per l'anno prossimo ho già deciso: io vado a vedere la Corea del Nord». Antonella Rampino Fausto Bertinotti e Armando Cossutta