In Italia di Giuseppe Mayda

In Italia In Italia Duecentomila condanne Come racconta Piero Melograni in un bel saggio sulla grande guerra, c'era nell'esercito italiano, nell'ottobre 1917, un generale Andrea Graziani (omonimo ma non parente del maresciallo fascista) che era stato nominato da Cadorna «ispettore generale per lo sgombro», doveva cioè dare ordine alle retrovie dopo il caos della rotta di Caporetto: questo Graziani, che si vantava di avere già ordinato 34 fucilazioni di disertori e renitenti, il 3 novembre, sulla piazza di Noventa di Padova fece fucilare un artigliere, certo Ruffini, perché - come spiegò più tardi lo stesso generale - gli era passato davanti fumando il sigaro «con la faccia atteggiata a riso di scherno, fissandomi in atto di sfida». Le esecuzioni sommarie, per ottenere dalla truppa obbedienza cieca e pronta, furono diverse centinaia così come l'uccisione di presunti codardi o disertori, tutti delitti di cui non rimase traccia ufficiale (in una sentenza del tribunale di guerra, la numero 2349/A del 30 ottobre 1917, è riferito il caso di un soldato che all'atto di passare al nemico era stato ucciso da un graduato del suo reparto). Il generale Capello ordinò agli ufficiali di mettersi in coda ai reparti, al momento dell'uscita dalle trincee, «per fare giustizia dei vili», sparando cioè contro chi rifiutava di andare all'attacco. Dal 24 maggio 1915 al 4 novembre 1918 vi furono 870.000 denunce alla giustizia militare per diserzione, resa, abbandono del posto, mutilazione volontaria, ammutinamento, renitenza e indisciplina. Fra i 208.665 condannati, le pene più gravi toccarono a 35.000 militari e furono 4028 quelle a morte di cui 750 eseguite, 311 non eseguite e 2967 in contumacia. Almeno 200 pene capitali vennero inflitte per decimazione. Il 26 maggio 1916 a Monte Mosciagh, alcuni reparti del 141° Reggimento Fanteria si sbandarono sotto l'impeto di un attacco austriaco e fuggirono seguiti da uno dei loro ufficiali. Due giorni dopo furono estratti a sorte per decimazione un tenente, tre sergenti e otto soldati, tutti subito fucilati. L'anno seguente, nella notte del 21 marzo 1917 scoppiarono tumulti nel 38° Reggimento Fanteria della Brigata Ravenna con spari in aria pare a causa di una protesta dei reparti che dovevano andare in prima linea. L'indomani vennero estratti a sorte 20 soldati e, fra questi, se ne sorteggiarono 5, che furono fucilati. Il caso più grave fu forse quello accaduto nella Brigata Catanzaro, a Santa Maria la Longa, la notte fra il 15 e il 16 luglio 1917. Parte delle truppe si ammutinarono e rimasero padrone del campo per parecchie ore. Negli scontri caddero uccisi 2 ufficiali e 9 soldati, i feriti complessivamente furono 27. Il 19 luglio il generale Tettoni ordinò la decimazione e fece fucilare 28 militari, compresi alcuni rimasti estranei agli incidenti ma che, disse il generale, «col loro contegno passivo avevano favorito l'opera dei facinorosi». Il 22 marzo 1916, all'indomani della quinta battaglia dell'Isonzo, Cadorna censurò le miti sentenze dei tribunali militari, lamentò che i magistrati eludevano in ogni modo la responsabilità di infliggere pene di morte ed esortò i più alti capi dell'esercito a far comprendere ai giudici i danni conseguenti una eccessiva clemenza delle sentenze. Giuseppe Mayda

Persone citate: Andrea Graziani, Cadorna, Capello, Graziani, Piero Melograni, Ruffini, Tettoni

Luoghi citati: Caporetto, Catanzaro, Italia, Padova, Ravenna, Santa Maria La Longa