Cancro, geni che sbagliano
Cancro, geni che sbagliano GLI ULTIMI PROGRESSI Cancro, geni che sbagliano Nelle molecole la nuova frontiera della lotta ERANO gli Anni 70 quando Richard Nixon, presidente degli Stati Uniti, decise di dichiarare ufficialmente guerra al cancro e si diede un tempo massimo per vincerla: cinque anni. Varò un programma federale che chiamò appunto «War Against Cancer» e fece piovere sui National Cancer Institute (NCI) una quantità di denaro un miliardo di dollari l'anno che non ha mai più avuto l'uguale. All'epoca, gli americani avevano un'idea fissa: trovare il virus che provoca il cancro. Anche Albert Sabin, dopo i trionfi per il vaccino contro la poliomielite, questa sì malattia infettiva, causata dal Poliovirus hominis, si accanì per anni e anni sul microscopio elettronico, cercando la particella virale che riteneva causasse le leucemie dell'uomo. Ma era una strada sbagliata: 25 anni e 25 miliardi di dollari dopo, l'NCI ha istituito una commissione per capire le ragioni di una sconfitta che brucia. Anche perché altri, altrove e con altre ipotesi di lavoro, sono andati più lontano. Dov'era l'errore? Nell'impostazione teorica. Il cancro non è, come molti allora ipotizzavano, una malattia esogena, cioè causata da un agente esterno. Non che l'ambiente non conti. Tutt'altro. Ma in un modo più complesso e subdolo di un semplice virus: l'ambiente, inteso come sostanze chimiche o radiazioni, produce mutazioni nei geni al momento della duplicazione delle cellule. Sono queste mutazioni, ripetutamente sommate, a produrre il cancro. Che è dunque una malattia endogena, che nasce cioè dall'interno dell'organismo, se e quando s'inceppa il programma genetico che normalmente fa riprodurre le cellule al momento giusto e in maniera controllata. Un errore minimo, inizialmente, uno piccolissima mutazione in un gene. Poi in un altro e in un altro ancora. Quando i geni che mutano diventano cinque, comincia il tumore. E' stata la biologia molecolare a chiarire il contesto in cui matura la proliferazione incontrollata delle cellule. Se un errore va imputato ai cacciatori del virus, è quello di essere stati poco elastici nell'utilizzare i risultati della ricerca di base, poco aperti alle novità che venivano da ambiti diversi. D'altronde, erano fortemente concentrati sui tumori avanzati e non sulle fasi iniziali. E a un certo punto hanno pensato che la chemioterapia potesse essere la formula risolutiva. Oggi anche questa via è stata percorsa fino in fondo, con grandi risultati ma senza la vittoria definitiva. Le sostanze chemioterapiche risentono infatti di un difetto d'origine: sono potentissime ma non selettive, distruggono le cellule tumorali ma anche quelle sane. Ma il sistema immunitario, che fa? Perché non ci difende dai tumori? Il fatto è che le cellule neoplastiche sono estremamente astute e possiedono tutto un arsenale di trucchi genetici per evitare di essere aggredite dal sistema immunitario. Una strategia di difesa potrebbe essere quella di insegnare al sistema immunitario dei controtrucchi per neutralizzare le astuzie. E' questa la strada imboccata alla fine degli Anni 80, con l'invenzione degli anticorpi monoclonali. Una strategia terapeuti¬ ca che da sola non basta, ma ha dato buoni risultati in alcune forme di tumore al rene e alla mammella. La nuova frontiera di ricerca oggi è l'oncologia molecolare. Esistono due categorie di geni connessi ai tumori: quelli che predispongono alla mutazione e quelli che bloccano il processo, i cosiddetti «geni modificatori». Importantissimi perché, se come sembra hanno un effetto protettivo, potrebbero fornire le sostanze che inibiscono l'insorgere del tumore. Sui centomila geni del Dna umano, quelli legati ai tumori sono nell'ordine delle decine, forse cento al massimo. E' questione di tempo, ma un giorno l'elenco sarà finito. E a.iura questa conoscenza di base potrà servire in più direzioni:per una terapia genica, per un farmaco convenzionale, chimico, che abbia come bersaglio le proteine prodotte dai goni mutati o per indurre la cellula ad autodistruggersi facendo scattare il suo meccanismo di «morte programmata». Anche bloccare l'angiogenesi, strategia tornata di attualità nei mesi scorsi, potrà essere un buon rimedio, ancorché parziale. Il presupposto è che un tumore, per crescere, necessita di nutrimento, cioè di sangue. Inizialmente non ne ha bisogno, ma quando raggiunge il diametro di qualche millimetro deve organizzarsi con un suo tessuto connettivo e relativi vasi sanguigni. Di qui l'idea, alla quale l'americano Judah Folkmann lavora da oltre trent'anni, è quella di impedirgli di organizzarsi: non si eradicherà il tumore, ma gli si impedirà di proliferare. Il vantaggio di questa terapia è che non dà resistenza, a differenza della chemioterapia che, essendo rivolta a una cellula geneticamente instabile com'è quella tumorale, quindi soggetta a continue mutazioni, a un certo punto diventa un'arma spuntata. La terapia antiangiogenetica è rivolta invece verso la cellula endoteliale, che dal punto di vista genetico è una cellula normale, e dunque non oppone resistenza alla terapia. Ma da sola, non basterà. Potrà invece servire in associazione con le altre terapie. Pur non eradicando il tumore, aiuterà a cronicizzarlo. Traguardo meno ambizioso di quello a cui puntava Nixon, ma più realistico. Marina Verna La chemioterapia ha grandi meriti ma danneggia le cellule sane L'8 novembre si celebri1*' la Giornata nazionale della lotta ai tumori SOPRAVA 5 _63 43 h^_J2___4 60 3769 53,43, 14~T4 8D,Versi possono essedell'incidenzdiagnosiQualuncomunque tutti i tre set Nelle foto, l'Istituto per la ricerca e la cura del cancro a Candido e alcuni dei suoi modernissimi laboratori. A sinistra, la promettente linea di attacco ai tumori . basata sul blocco dell'angiogenesi Una buona strada privare il male del suo sistema di arterie e vene
Persone citate: Albert Sabin, Judah Folkmann, Marina Verna, Nixon, Richard Nixon
Luoghi citati: Stati Uniti
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