TINTORETTO CARO AL POPOLO di Mirella Serri

TINTORETTO CARO AL POPOLO TINTORETTO CARO AL POPOLO Una storia del gusto nei secoli L giudizio del pubblico? Più attendibile di quello di tanti critici, più affidabile di quello di tanti esperti. A enunciare il verdetto che il gusto estetico della «gente comune», dei non specialisti è a volte più avanzato rispetto alle valutazioni artistiche di tanti addetti ai lavori è un notabile delle lettere e delle arti, un esimio accademico, oggi del tutto dimenticato, il professor Giovanni Prosdocimo Zabeo. Nel discorso dell'8 agosto 1813, tenuto all'Accademia di Belle Arti di Venezia, per premiare Francesco Hayez, l'abate Zabeo, insegnante nel liceo convitto, docente di teologia pastorale all'Università di Padova, sostenne con dovizia di esempi un'opinione che sconcertò i presenti. Lo studioso - che fu maestro di Antonio Rosmini - capovolgeva l'idea, abbastanza diffusa tra i contemporanei, che il Tintoretto fosse un artista di second'ordine, un pittore affettato e discontinuo. Contemporaneamente sosteneva che il Tintoretto era apprezzato dal «popolo». Da quel «popol stesso che se non per tecnica e intelligenza, alme no per assuefazione di senso, educato a discernere i frutti d'arte maturi e perfetti da quel che noi sono, imponeva gli artisti». Il gusto del «popolo» - a detta di Zabeo - riusciva a cogliere benissimo le caratteristiche di un'opera e il valore di un artista, proprio come accadeva nel caso di Tintoretto. A riprendere questo giudizio dell'abate e a farne il perno di un'affascinante e originale ricerca è la studiosa Anna Laura Lepschy nel saggio Davanti a Tintoretto. Una storia del gusto attraverso i secoli (Marsilio, introduzione di Carlo Ginzburg). La Lepschy, docente di italiano all'University College di Londra, figlia del celebre storico Arnaldo Momigliano e moglie del linguista Giulio C. Lepschy, con cui ha collaborato nella ricerca a quattro mani, punta polemicamente il dito contro la tradizione critica bi abituata a sottovalutare la «ricezione», il gusto del pubblico e dei fruitori di opere d'arte. Con la saggista concorda lo storico Ginzburg che parlando del Tintoretto sottolinea la capacità del pubblico «pronto ad accogliere un linguaggio pittorico fortemente innovatore». La Lepschy utilizza come fonti, come fonti, dunque, non solo gli studi di critici s storici dell'arte, ma anche libri di viaggio, dizionari, citazioni di letterati, filosofi, mercanti, valutando anche la diffusione delle copie e delle stampe tratte dalle opere di Tintoretto, oltreché le quotazioni dei dipinti. La considerazione critica di Iacopo Robusti, chiamato il Tintoretto dal mestiere del padre tintore di panni, nei secoli fu abbastanza altalenante. Seri dubbi si nutrirono sulle qualità dell'artista veneziano immediatamente dopo la sua scomparsa nel 1594 e la stima della critica variò molto nel Sei-Settecento. Se a diffondersi in lodi ci sarà, tra i primi grandi ammiratori uno scrittore, Pietro Aretino, uno dei più feroci avversari sarà il teorico d'arte, Federico Zuccaro che considererà il Tintoretto come il maggior responsabile del declino artistico iniziato nel Cinquecento. Anche il Vasari nelle sue Vite non sarà generoso con il pittore. Inizierà così una divisione tra sostenitori (spesso illetterati) e denigratori (i critici) che si protrarrà nei secoli. Basta un esempio: quando nel 1797 i commissari di Napoleone giunsero a Venezia, accompagnati da uno staff di esperti, per selezionare i dipinti da portare a Parigi come bottino di guerra, le tele del Tintoretto saranno solo due. E quando, nel 1880, i quadri della collezione degli Orléans furono venduti a Londra, le opere del Tintoretto vennero sottovalutate proprio perché ci si basava sulla scarsa considerazione dei critici. Ma, se il mondo degli addetti ai lavori non stimava adeguatamente Tintoretto, le guide turistiche dell'epoca lo supervalutavano. artldclnctPbTtp Con il romanticismo, invece, scoppiò la moda del pittore dai toni drammatici: ad appassionarsi alle sue tele furono, in Inghilterra, John Ruskin e in Francia Hippolyte Taine. A partire dal 1800 la forbice dei giudizi si allargherà: «Gli studi sul Tintoretto - osserva la saggista - denotano nel XIX secolo due diversi punti di vista: da un lato quello degli storici dell'arte, dall'altro quello degli artisti, dei letterati, dei filosofi». Goethe lo esaltava, Dickens lo riveriva, Henry James lo adorava e D'Annunzio lo citava ripetutamente nelle sue opere travolto dalla bellezza del suo tratto. Tintoretto fu talmente apprezzato dagli scrittori che vi fu chi, addirittura, vide in lui un precursore dell'arte fascista: Ugo Ojetti individuava una corrispondenza tra arte in camicia nera e segno violento del pittore veneziano. Però, sedotto dal Tin toretto, fu anche l'antifascista Piero Gobetti. A scagliare i suoi dardi avvelenati contro il grande manierista, invece, fu Roberto Longhi, uno dei maggiori critici del Novecento. Longhi individuerà nel «titanismo» del Tintoretto uno stretto rapporto con il linguaggioartistico delladittatura del Ventennio. E lo lb t attaccò in una celebre stroncatura: «Perché mai il nome del Tintoretto sia stato rilanciato violentemente, circa ottant'anni fa, dal romantico Ruskin, insieme con quelli del Carpaccio, del Bellini e del Turner, varrebbe la pena di spiegare». Come controcanto positivo vi saranno le notazioni di Cézanne, Delacroix, Proust. Sartre, per arrivare alle battute di Woody Alien nel film Tutti dicono I love you. La Lepschy non ha dubbi: critica d'arte (o critica letteraria) e pubblico non vanno per nulla d'amore e d'accordo. Il braccio di ferro tra la collettività dei non specialisti e quella degli esperti segna tutto il nostro secolo: in questi ultimi tempi la disputa sembra, addirittura, farsi più accesa. Lo testimonia la recente discussione sulla qualità letteraria del Gattopardo di Giuseppe Tornasi di Lampedusa, un romanzo che alla sua apparizione fu accolto a braccia aperte dai lettori ma che viene periodicamente stroncato dalla critica (come dimostrano l'intervento «contro» di Alberto Asor Rosa e quelli in difesa di Francesco Orlando, Gioacchino Lanza Tornasi e di Guido Davico Bonino su Tuttolibri della scorsa settimana). Gli idoli del pubblico vengono buttati giù senza remore dai critici: gli esempi sono numerosissimi e vanno dal Dottor Zivago di Boris Pasternak a II nome della rosa di Umberto Eco, opere di grande successo ma spesso trattate freddamente da storici della letteratura e da studiosi. E viceversa anche il pubblico sdegna e bastona autori supergraditi ai recensori. E il conflitto continua ancora. Mirella Serri Carlo Ginzburg DAVANTI A TINTORETTO Anna Laura Lepschy Marsilio pp. 200. L 25.000 Una ricerca della Lepschy contro la tradizione critica abituata a sottovalutare la «ricezione» del pubblico

Luoghi citati: Inghilterra, Lampedusa, Londra, Parigi, Tintoretto, Venezia