Ecco perché Pasolini non finirà rasoterra

Ecco perché Pasolini non finirà rasoterra SITI RISPONDE A CAMON Ecco perché Pasolini non finirà rasoterra Aproposito di Pasolini, la settimana scorsa, Ferdinando Camon ha posto un problema serio: le opere complete finiranno col danneggiarlo, riducendolo «rasoterra»? Dietro a questa, compare una domanda ancora più insidiosa: nelle collane «di prestigio», ma non specialistiche, è meglio non pubblicare quegli inediti che sminuiscano l'immagine d'uno scrittore? (E gli studiosi, che quegli inediti li conoscono, devono nasconderli al lettore comune per salvaguardare la bellezza?) Non credo che basti rispondere a queste domande con osservazioni ovvie, come quella che il va¬ lore d'uno scrittore non si mi sura sulla media di ciò che ha scritto, e che la riconosciuta mediocrità dei versi italiani del Belli non abbassa d'un millimetro l'altezza del «commedione» romanesco. Né dicendo che spesso dai testi mediocri partono illuminazioni per capire le opere grandi dello stesso autore; né infine obiettando la cosa più ovvia di tutte, che col criterio di non pubblicare quel che un autore avrebbe bruciato si sarebbero dovuti lasciare sepolti per sempre sia l'Eneide che Hi Processo. Credo invece che valga la pena di guardare più da vicino il caso particolare, Pasolini. Se avessimo pubblicato solo quelle prove narrative che lui stesso aveva licenziato, giudicandole «definitive», sarebbe bastato un volume; ma sarebbe rimasto fuori Petrolio, che un critico di indiscutibile acume come Luigi Baldacci giudica il miglior romanzo di Pasolini - e sarebbe rimasto fuori Atti impuri, che un altro critico di grande intelligenza e di diversa generazione come Alfonso BerardinelU giudica a sua volta il miglior romanzo di Pasolini. Che fare, allora? Limitarsi a pubblicare, del coacervo di testi inediti e postumi, quelli che il mio gusto (o il gusto dei critici che stimo) mi segnalava come degni? Lo so anch'io che Pasolini è uno di quegli scrittori che ci guadagnano a essere antologizzati, ma il problema è: chi la deve fissare questa antologia? Molti inediti poi, tra quelli che «gonfiano» le quattromila pagine, sono stati pubblicati in una prospettiva di critica genetica: dare conto cioè del lavoro di redazione che ha portato ai testi definitivi. Roba per filologi, si dirà. Forse sì, se non fosse che Pasolini stesso, a un certo punto, ha cominciato a pensare alla sua opera come a un unico testo, di cui i testi singoli non avrebbero dovuto essere che le varianti. Nei suoi ultimi due libri di poesia, le redazioni alternative non si escludono a vicenda ma compaiono una accanto all'altra, in parallelo. La sua idea del non-finito privilegiava le «strutture a vista», ricercava gli effetti di seduzione prodotti proprio dall'imperfezione esibita. E' stato lui che ha ripreso un testo che non gli era riuscito dieci anni prima (La divina mimesis) e l'ha voluto pubblicare così, per mettersi a nudo di fronte ai suoi nemici. Prima di antologizzare gli scrittori bisogna stabilire dei criteri di scelta, e per far questo conviene mettersi in sintonia col linguaggio parlato dai testi. Uno dei risultati che spero possano essere ottenuti dai due volumi mondadoriani è proprio quello di discutere il tradizionale «diagramma di valore» dei romanzi di Pasolini, che è poi quello dichiarato da Camon e che vede ai vertici i due romanzi romani. Personalmente ritengo, per esempio, che il frammentario Ali dagli occhi azzurri sia, proprio come pura riuscita letteraria, superiore a Una vita violenta. E nego che il proustismo profondo di alcuni racconti brevi sia irrilevante ai fini di una futura antologia. Dirò di più: una lunga nota espunta all'ultimo momento dalla Divina mimesis, sebbene espunta dall'autore e forse proprio perché espunta, dà invece al testo una nota di strazio represso che lo arricchisce. Non sempre un autore sa dove comincia e dove finisce il proprio testo. Camon non si offenderà, se gli confesso che il «vero testo» del suo Quinto stato, per me, è composto dal libro che portava quel titolo più la lettera-recensione di un vecchio contadino più il commen¬ to alla lettera fatto da Camon stesso. Nel «sistema Pasolini» tutto questo era calcolato, non per nulla il «vero testo» del suo amato Ungaretti era rappresentato per lui da quel libro eminentemente filologico che è la Vita di un uomo. Pasolini negli ultimi anni ha rischiato più volte, consapevolmente, di uscire dai confini del letterario per non condannare la sua letteratura alla piacevolezza e all'inoffensività. Come romanzieri, Pasolini e Bassani mi sembrano più o meno alla stessa altezza, ma appartengono a due razze assai diverse: non mi dispiace che, anche nei Meridiani, i loro monumenti si somiglino così poco. Che all'assenza di scorie di Bassani corrispondano, in Pasolini, l'impotenza, la dissonanza, la dismisura. (Quanto poi al fatto che essi vengano già monumentalizzati come classici, questo è legato, mi pare, alla debolezza della critica militante e al bisogno, da parte dei lettori, di quelli che in economia si chiamano «beni rifugio»). Non credo che alla fine della pubblicazione delle sue opere complete Pasolini sarà ridotto rasoterra; è vero però che quando un diagramma appeso al muro non ci sembra più del tutto adeguato, per correggerlo bisognerà pure staccarlo dal muro e appoggiarlo, provvisoriamente, su qualche ripiano. Walter Siti