L'ODISSEA DEL GRECO KRISTOS FRA DONNE, MARE, ARANCE

L'ODISSEA DEL GRECO KRISTOS FRA DONNE, MARE, ARANCE L'ODISSEA DEL GRECO KRISTOS FRA DONNE, MARE, ARANCE // regista cileno Latin e «Il viaggiatore delle quattro stagioni» MILANO t?/-i Tom a ■ a n in *i •! ■» *■ • i t za.a.2 lli: r-r» MILANO EGISTA cinematografico e scrittore, il cileno Miguel Littin pubblica a 56 anni H viaggiatore delle quattro stagioni, suo primo romanzo, nella collana «La frontiera scomparsa» diretta da Luis Sepùlveda, che firma pure una breve presentazione. Un bel romanzo appassionato, dallo stile avvolgente e luminoso. E' l'odissea del greco Kristos, il nonno materno dello scrittore, che a Costantinopoli scappa dai turchi e dalla prima guerra mondiale sognando l'America. Senonché nella stiva della nave sono nascoste quarante ragazze che vogliono ricongiungersi con fidanzati e mariti in Cile, e Kristos le aiuta, le consegna ai loro uomini, passa di avventura in avventura finché anche lui si ferma, a Palmilla, e si sposa e ha figli, ma poi si piega alla nostalgia, non sa più chi è, dov'è, che cos'è quella terra piena di polvere e di luce, e la morte diventa l'unico ritorno possibile. Littin, lei ha diretto film come «El Chacal de Nahueltoro», «Sandino», «Actas de Marusia», «Storia di un massacro»: film importanti, di ùld hé è dice Sepùlveda. Perché è pas- sato alla penna? «Quando giro un film, dietro la macchina da presa costruisco la realtà con un solo occhio, un occhio da Ciclope, al centro della testa, come l'occhio di un cavallo che vede tutt'attorno, anche dietro, ed esploro, vado dentro le cose. Lo stesso sortilegio avviene quando scrivo. Sono realista e indovino». A gennaio lei farà un film tratto da «Terra del Fuoco» di Coloane. Perché non dal suo romanzo? «Coloane è Coloane, ha dato identità letteraria e culturale al Cile, è uno scrittore diretto, un vino duro. Al mio libro toccherà dopo, spero. Conosco Coloane da quando ho cominciato a leggere. E' un gigante vecchio che sembra un mascarón deproa, una polena. Ha occhi trasparenti in cui vedi il colore degli oceani in cui ha vissuto, e una voce da capitano, imperiosa. La sua casa sembra una nave, quando sali in terrazza è come se salissi su un ponte. Lì bevi il miglior tè di Santiago». E perché «Terra del Fuoco»? «Un giorno, durante le riprese d'un film nell'estremo Sud del Cile, mi allontanai dal set. Incontrai una buca, ci scesi dentro, m'accocolai e m'addormentai. Non sognai nulla. La troupe mi cercava, mi chiamava, finì con lo svegliarmi. Erano lassù, sul bordo della buca, uomini e donne. Non li riconoscevo. Vedevo il tramonto e gli uccelli, ma quelle facce per me erano nuove. Ero nuovo io. Nella Terra del Fuoco è come se si rinascesse. I personaggi di Coloane, un ungherese, un te¬ desco, un italiano, si incontrano in questo mondo, una torre di Babele, e in quel silenzio, in quel cristallo di gelo e solitudine gli uomini si riscoprono, vivono un vuoto che li spolpa e li sovverte. La Terra del Fuoco è la scena del nulla. Quante I parole, in questo secolo! Quante _• j i ■ .._ . ■ parole, in questo secolo! Quante ideologie, quanto potere! Basta. Guardiamoci dentro». Coloane, Sepùlveda, Littin... Sta nascendo un Cile mitico? «Il Cile è un'invenzione dei suoi artisti. Il Cile è Neruda, è nerudista, con Tagore, Rimbaud, il Mediterraneo, il buon vino, l'utopia. H Cile ha sempre un'utopia. Quella d'oggi è la democrazia, la transizione verso una possibile democrazia». Lei ha diretto «Chile Films», l'ente di Stato per il cinema, con Allende. Poi è stato costretto all'esilio. Ha conosciuto Pinochet? «Quell'Innominato era il braccio destro del generale Pratt, all'epoca di Allende, e andava a cercarsi il tredicesimo posto come Giuda. Disgraziatamente l'ho conosciuto. E voglio che venga processato. Non c'è odio in me. L'odio non è una ri¬ sposta. Ma io voglio che _ _• « »t • i • sposta. Ma io voglio che quell'Innominabile venga giudicato perché giudicarlo è un diritto dell'uomo. Adesso s'è fatto tanta chirurgia estetica che sembra una Thatcher con i baffi». Nell'85 lei ha beffato la dittatura: è tornato in patria per sei settimane. Travestito, irriconoscibile. E' riuscito a girare 32.200 metri di pellicola, che Màrquez, nel suo «Le avventure di Miguel Littin, clandestino in Cile» (Oscar Mondadori), ha definito la coda d'asino di Pinochet. Quale momento ricorda di più? «L'incontro di notte con mia madre. "Sono io", le dico. Stava su un seggiolone in una sala della vecchia casa del nonno. "Non so chi sei", dice. Ma alla fine mi vede e mi abbraccia. "Vieni, ho pronto il mastul", dice. Il mastul è un umido d'agnello con ceci e palline di semolino, simile al cuscus arabo, ed era il primo che mia madre preparava quell'anno senza nessun motivo. Per pura ispirazione». Chi ha contato di più nella sua formazione politica ed estetica? «Mia madre. E poi Neruda, il mio amico Bunuel e Ù grande documentarista olandese Joris Ivens, di cui sono stato assistente. E poi Faulkner, Juan Rulfo, Carlos Fuentes Di Rossellini ho visto Roma città aperta tre volte di seguito nello stesso giorno, a nove anni». Dove vive adesso, Littin? «A Palmilla, la stessa cittadina che appare ne II viaggiatore delle quattro stagioni, il mio romanzo. Vivo con mia moglie e i miei tre figli nella grande casa di nonno Kristos, una casa del Settecento con corridoi lunghi, passaggi scuri, stanze labirintiche, cucine enormi, e più in là la stalla e il luogo per l'allevamento dei cavalli. Il posto si chiama Los Naranjos, e si sente davvero un odore immobile di arance acerbe. Il nonno Kristos era un gran signore alto uno e 90 che camminava cantando e ballando. Aveva soldi, ma nessuno sapeva perché li avesse». Claudio AHarocca Il romanzo d'esordio tra Costantinopoli e l'America «Devo tutto a Neruda, a Bufiuel, a Rossellini» IL VIAGGIATORE DELLE QUATTRO STAGIONI Miguel Littin Guanda pp. 242, L. 24.000