Palano Marino, la guerra dei vigili di R. M.

Palano Marino, la guerra dei vigili Palano Marino, la guerra dei vigili Mesi dì polemiche, denunce e scioperi anti-Albertini LMILANO A storia va avanti dal luglio '97, Albertini versus vigili urbani, oppure il contrario, dipende dai punti di vista. Rinnovo del contratto in alto mare, guerra di dichiarazioni, scioperi, denunce reciproche, 20 giorni fa il primo licenziamento del leader del sindacato di base, Antonio Barbato, e adesso una intera giornata di sciopero (7 su 10 hanno aderito), traffico bloccato qui e là, con assemblea di ghisa fumanti e furenti, su al primo piano del Comando, in un'atmosfera da fabbrica occupata. Rumori, applausi, colletta «per sostenere la lotta», abbracci e passaparola tipo: «Albertini si dovrà rimangiare tutto», oppure: «Lotteremo fino in fondo...». Altro china a Palazzo Marino: velluti e puntiglio, con Albertini dentro e fuori da riunioni di routine, appena il tempo di dire: «Non mi rimangerò proprio niente. Sono qui a difendere i cittadini contro lo strapotere di certe corporazioni...». E anche: «Quel licenziamento è sacrosanto, i diritti sindacali non c'entrano niente, la libertà di parola non c'entra niente. Ho chiesto ai vigili di isolare gli estremisti e gli estremismi. Vedremo...». Cominciamo dal fondo. Il licenziamento - senza preavviso, in data 16 ottobre - arriva sul tavolo dell'ufficiale Antonio Barbato (dopo due richiami scritti) per «istigazione alla disobbedienza» della cosiddetta «ordinanza antilucciole» (fermare, identificare e multare i clienti che fanno ressa sui viali). Barbato aveva detto più o meno: non serve a niente, non ci compete, è una pericolosa scemenza, ma soprattutto: «Viola il diritto di privacy dei cittadini». Gli contestano «1'i- stigazione, anzi l'incitamento a disobbedire, un fatto inaudito, specie per un ufficiale», perché l'ordinanza è legge. Replicarono i sindacati: «Qui è in gioco il diritto di un sindacalista a esprimere la propria opinione». Rincarò Albertini: «Quella io non la considero un'opinione, bensì un atto». Ma quell'atto è stato per l'appunto il fondo di una guerra cominciata quindici mesi fa, con Albertini inflessibile e pure la giunta polista a fare muro prima contro le richieste sindacali - assunzione di 1500 nuovi vigili, aumenti salariali - e 30 minuti da scalare all'orario per indossare e togliere la divisa. Su quei 30 minuti - la pausetta mesi di polemiche, ironie, e poi anche parole forti: corporativi, sfaccendati, imboscati. Fino al verbo di Palazzo Marino: «Mai e poi mai ci piegheremo a certi privilegi, specie se i vigili non la pianteranno di starsene acquattati negli uffici invece di lavorare sulla strada. I cittadini si lamentano. Noi ci lamentiaI mo. E loro, i privilegiati, guada¬ gnano anche un milione in più al mese, grazie a tutti gli indennizzi accumulati negli anni...». Da allora: fischi ogni volta che Albertini si fa vedere nei paraggi delle divise (e lui li denunciò); scioperi a singhiozzo, con precettazione prefettizia su richiesta della giunta; denunce contro Albertini per comportamento antisindacale e relative condanne. Ma anche (per dire del malumore diffuso) misteriosi incendi di auto-gazzelle nei depositi della vigilanza, lettere di minaccia e telefonate minatorie, sindacati confederali che prima accettano pre-accordi e poi si sfilano, come la Cgil, per affiancarsi ai sindacati di base. Insomma un ginepraio. Adesso Barbato è diventato il simbolo della guerra guerreggiata. E quando all'assemblea grida: «Ricordatevi che per Albertini il mio licenziamento è solo l'inizio della rappresaglia. Poi toccherà a molti di voi», la sala si riempie di applausi e facce tese, questa volta per un giorno intero. E a Palazzo Marino? Imperturbabili. [r. m.]