Veltroni: una legge «anti-ribahone» di Fabio Martini

Veltroni: una legge «anti-ribahone» Eletto segretario con il 90 per cento dei voti. «In caso di crisi, autoscioglimento dei consigli regionali» Veltroni: una legge «anti-ribahone» E lancia il «partito aperto» ROMA. Le palpebre di Ettore Scola si abbassano lentamente e poi si chiudono. Gli occhi del regista - amico del partito e del suo nuovo segretario - resteranno chiusi per più di un'ora: una piccola defaillance che racconta del clima disteso e distensivo nel quale si è consumato, sotto le volta del Palafiera, il cambio dela guardia tra Massimo D'Alema e Walter Veltroni. Così come la fulminea ascesa di D'Alema a palazzo Chigi non aveva richiamato sotto Botteghe Oscure neanche una bandiera, anche .'ascesa alla segreteria di Veltroni è stata salutata in modo composto e senza pathos dai 1199 delegati (su 1700) arrivati a Roma. A Veltroni e D'Alema tre battimani a testa; come sottofondo, niente Internazionale e tanto Beethoven, ma tenuto a volume basso. Come una filodiffusione. Anche i numeri dell'elezione di Veltroni dimostrano un clima, almeno momentaneamente, pacificato: il nuovo segretario è stato eletto (a scrutinio segreto) con 1069 voti favorevoli (pari all'89,9% ), 48 contrari (il 4%), 70 astensioni e 12 schede bianche. E quanto a D'Alema, è diventato presidente del partito, ma in questo caso si è votata soltanto la modifica dello statuto; d'ora in poi se il segretario dei Ds si trasferisce a palazzo Chigi, simultaneamente (e senza votazioni) diventa presidente del suo partito, un originale automatismo che non aveva precedenti in altri partiti. Ma il clima pacificato, il tono rispettoso di D'Alema nei confronti di Veltroni (e viceversa), persino l'abbraccio finale tra i due, non hanno cancellato le «diverse sensibilità», come le hanno definite entrambi. Nel discorso di investitura (durato 1 ora e 45 minuti), Veltroni dopo aver spiegato che la guida del partito rappresenta per lui «la sfida più difficile» della vita, ha lanciato alle altre forze politiche due messaggi forti, non perfettamente coincidenti con quelli del predecessore. Sulla legge elettorale: «Se il Parlamento non riuscirà a legiferare, ci sarà- ancora una volta la strada referendaria» e più tardi ad un cronista: «Se non si riuscirà ad approvare un sistema a doppio turno di collegio, sarà il referendum a indicare la scelta maggioritaria». Un approccio deciso che più tardi ha suscitato l'ira di Marini («Veltro- ni comincia male...») e il plauso del Polo. Novità anche sugli eletti che cambiano campo: «I Ds ha annunciato - presenteranno presto un disegno di legge per r autoscioglimento dei consigli regionali, nei casi di una crisi irreversibile nel governo di una Regione». Una proposta che suona a critica indiretta dell'operazioneUdr? Veltroni si è ben guardato da critiche esplicite al partito di Cossiga, ma ha spiegato che «non si può ridurre a solo trasformismo» quel che è accaduto. Come dire: il partito che ha consentito il varo del governo D'Alema è non solo ma anche trasformista. E infatti Clemente Mastella, unico segretario di partito presente al Palafiera, ha infilato subito il suo ago risentito: «Quello di Veltroni è un bipolarismo nel quale l'Ulivo è minoritario e vince sempre la destra...». E anche gli aggettivi scelti da Veltroni per qualificare il nuovo governo sono apparsi misurati. La soluzione della crisi? «Un risultato positivo». Il programma del governo? «Buono». I primi segnali? «Incoraggianti». Ma Veltroni ha fatto capire che a lui interessa molto il partito e la sua crescita: una sfida tra le «più difficili» quella di rendere la Quercia «forte come gli altri partiti della sinistra europea», perché i Ds fermi a quota 20% sono «un'anomalia» che va cancellata. Veltroni ha dovuto prendere atto della «situazione di sofferenza» nella quale vive il partito, ha preannunciato che il «suo» partito non starà all'ombra del governo, ma che senza mancare di «lealtà», manterrà la propria «autonomia». In questo approccio, Veltroni era stato in qualche modo preceduto e incoraggiato da D'Alema che su questo tema aveva usato toni autocritici per lui insoliti. Facendo il bilancio della sua segreteria, D'Alema aveva detto: «Sono stati anni tumultuosi», ma «non mi sfuggono le debolezze», «assai poco è stato fatto sul piano dell'innovazione organizzativa», con il risultato di avere oramai «un partito con una testa grossa - con molte for¬ ze impegnate nella direzione politica e sociale - e con un corpo gracile, un legame allentato con settori importanti della società», «un lusso che non ci possiamo permettere». E nel presentare la candidatura di Veltroni, D'Alema non aveva lesinato gli aggettivi: «Una scelta che assicura il più alto profilo politico e la maggiore garanzia di autonomia rispetto alla responsabilità di gui- dare il governo». E Veltroni: «Tra noi c'è una lealtà di fondo che nessuno potrà cancellare». Ma lo scambio di gentilezze e la convergente critica allo stato del partito hanno anche una ragione politica: D'Alema e Veltroni hanno una sostanziale convergenza di interessi almeno fino alle elezioni Europee, destinate a diventare un test sia per il presidente del Consiglio, ma anche per il nuovo segretario del partito. Interessanti semmai le direzioni verso le quali Veltroni intende allargare i confini del partito: verso «l'area dei cattolici democratici» (e dunque verso Prodi), verso il mondo «laico e democratico» («il movimento dei sindaci non sia un nuovo frammento»), verso «tutto quello che sta a sinistra dei Ds», con un apprezzamento particolare per la scelta dei comunisti di Cossutta. Obiettivo? «Una grande sinistra in un grande Ulivo». Fabio Martini Il nuovo leader: «Sulla riforma elettorale se il Parlamento non riuscirà a legiferare ci sarà ancora la strada referendaria» La stretta di mano fra D'Alema a Walter Veltroni

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