Dirigere l'orchestra un gioco da maestri

Dirigere l'orchestra un gioco da maestri Verdi li odiava, Wagner li esaltava: in un libro i segreti dei re della bacchetta Dirigere l'orchestra un gioco da maestri « jlERDI, compositore, li te11 me e diventa intollerante 1/ e sarcastico: «La divina1 zione dei direttori, la crea_Lj zione ad ogni rappresentazione. Quest'è un principio che conduce addirittura al barocco e al falso». Wagner, compositore e direttore, ne difende la funzione: «Massima diversificazione espressiva», raccomanda a chi dirige l'ultimo tempo della Nona di Beethoven, temendo una certa monotonia. Hans von Bulow, direttore e basta, rivolge al giovane allievo Richard Strauss il rimprovero che non si dimentica: «La partitura nella testa, non la testa nella partitura!». Ma che lavoro è, quello del direttore? Un veicolo indispensabile tra l'opera e la sua fruizione, oppure l'occasione narcisistica di un protagonismo eccessivo, che porta a confondere i ruoli, dimenticando, come temeva Verdi, chi sia il vero creatore? Ivano Cavallini, storico della musica attivo al Conservatorio e all'Università di Trieste, dedica un bel libro alla «genesi e storia di un'arte». Il direttore d'orchestra, appena edito dalla Marsilio, evita la trappola dell'aneddottica, non segue neppure la via indicata da Theodor Adorno a cui soprattutto interessavano i risvolti sociologici di questo lavoro, né parla del talento di questo o quel maestro; sceglie, invece, la strada dei resoconti dei testimoni oculari, dell'ico nografia, dei trattati che aiutano a risalire alle fonti di questa «disciplina»: soltanto demistifican dola, se ne troverà la necessità. Dal «batteur de mesure» che segna il tempo agitando un rotolo di carta, al «sonatore principale» in vocato nel Seicento per «dare la battuta», dal maestro al cembalo al primo violino direttore, fino al Maestro come ormai lo conosciamo: tre secoli di evoluzione prò fessionale, legati alla dilatazione delle orchestre e dei luoghi dove si fa musica, alla necessità di co dificareicon delle norme un me stiere ancora in via di definizio ne. Cavallini governa una impo nente messe di informazioni, tal volta affaticata da una prosa didascalica (anche alla Marsilio ritengono superflui gli editor?). E ripercorrendo i più autorevoli manuali, da Berlioz a Wagner, da Weingartner a Strauss (ma il lavoro di Gustav Mahler è trascurato), si persuade del primato della tecnica e conclude l'itinerario nel nome di Hermann Scherchen, direttore-suscitatore di energie e progetti che alla tecnica del dirigere ha dedicato nel 1929 un saggio corredato di esempi musicali commentati sempre dal punto di vista della bacchetta. «Impianto sistematico regolato da una pedagogia severa, funzionante senza il corollario della meditazione estetica», commenta l'autore, persuaso di aver trovato il filo d'Arianna. Leggere il manuale di Scherchen tuttavia non basta per diventare direttori-veri. Le leggi della tecnica sono l'alfabeto, che si impara in cinque minuti; poi serve il carisma, il fluido, la comunicazione, qualcosa di più e di diverso. Ce l'hai o non ce l'hai; sbacchetti, oppure dirigi, e non è la stessa cosa. Anche Verdi sarebbe d'accordo. Sandro Cappelletto Storia di una professione, dai primi «batteur de mesure» alle superstar di oggi Per avere successo non è sufficiente la tecnica quel che serve è il carisma Sopra Giuseppe Verdi: il musicista detestava il protagonismo dei direttori d'orchestra. A sinistra il maestro Kurt Masur che aprirà la stagione del Lingotto