Romano, la crociata revisionista di Sergio Romano

Romano, la crociata revisionista DISCUSSIONE. Nel nuovo libro riprende e sistema le sue tesi: ma perché tanto puntiglio polemico? Romano, la crociata revisionista Dalla guerra di Spagna alla politica della storia SHE cosa c'è di scandaloso nell'affermazione di Sergio Romano che il regime di Franco fu «spietato, autoritario, talvolta brutalmente vendicativo ma non fascista»? Niente. Purché ci si intenda su che cosa è il fascismo di cui si parla e si prenda sul serio la natura autoritaria del regime franchista. Ma Romano ha sentito il bisogno di scrivere un pamphlet dal titolo enfatico di Confessioni di un revisionista (in uscita da Ponte alle Grazie) per ribadire la sua tesi, inquadrandola in un impegnativo «sguardo sul secolo dopo la morte delle ideologie». Il libro è di sole 150 pagine ma di una densità estrema perché parte dal caso spagnolo per toccare tutti i principali avvenimenti del secolo, tornando indietro nel tempo (prima guerra mondiale) e spingendosi avanti sino alla decolonizzazione e alla «eccezione israeliana». Romano ritrova una trama unitaria in cento episodi apparentemente slegati. Nella sostanza della vicenda la parte del leone la fa l'Urss di Stalin, con il suo espansionismo territoriale e la sua brutale repressione interna. Rispetto all'Urss sia la Germania sia le democrazie occidentali sono comprimari. Naturalmente c'è l'America, vista nell'ottica severa dei suoi errori (isolazionismo), in parte corretti nel dopoguerra (piano Marshall). Per il resto, tutti hanno fatto i loro errori, più o meno corretti, salvo quello che Romano chiama «l'equivoco comunista», con il suo antifascismo di cui la «leggenda» della guerra di Spagna è un pezzo insostituibile. Condivido molte delle tesi di Romano, che danno veste brillante ai risultati della storiografia più avvertita e seria. Ma non capisco perché le molte affermazioni di merito richiedano il puntiglio polemico del revisionista militante. La storiografia non è per definizione una continua revisione - come dice lo stesso autore? Domanda ingenua. Sergio Romano sfrutta l'effetto pubblicistico del «marchio d'infa mia cucito sul petto del revisionismo» dai comunisti per far passare tesi che altrimenti starebbero chiuse nei libri di storia e di politica o si limiterebbero agli scambi (spesso sgradevoli ma schermati rispetto all'opinione pubblica) degli addetti ai lavori. In realtà il suo lavoro sta a dimostrare l'importanza cruciale che hanno la strategia comunicativa e il linguaggio quando la storiografia diventa politicamente rilevante. Romano è convinto che per combattere l'uso politico della storia da parte comunista occorre usare i toni aggressivi del revisionista militante. Altrimenti «i comunisti» digeriscono e metabolizzano tutto. Il paradosso è che Romano è convinto di fare in questo modo soltanto opera di illuminismo scientifico, mentre in realtà dà il suo poderoso contributo alla «politica della storia» di questa fine di secolo. Un contributo magari più convincente di altri - ma dalla logica della «politica della storia» non si scappa. Entriamo nel merito di qualche passaggio del libro. Dallo «sguardo sul secolo» la vicenda spagnola guadagna solo la conferma della intrusione della politica stalinista, nel quadro del mutato e mutevole atteggiamento sovietico verso l'Euro- pa. Così la guerra spagnola viene divisa in due tempi nettamente distinti: prima la lotta della Repubblica contro i generali golpisti e poi la guerra tra comunisti e fascisti. Curiosamente non viene mai messo a fuoco analiticamente il termine di paragone da cui è nata la polemica: che cosa si deve intendere per fascismo. Naturalmente di fascismo si parla in continuazione nel libro, ma manca quell'analisi del fenomeno originario italiano, della sua specificità rispetto alla quale il franchismo può dirsi nonfascista. A questo proposito il discorso rimane sempre allusivo. Perché a ben vedere a Romano non interessa tanto la ricostruzione del fascismo storico, quanto la critica dell'idea mitico-negativa del fascismo internazionale coltivata dai comunisti e dai loro ingenui compagni (intellettuali) di strada. A lui interessa mostrare che l'esecrabile regime di Franco e la lotta contro di esso non rappresentano «il punto zero» della riscossa antifascista, cul¬ minata nella guerra mondiale con l'apoteosi dell'Urss, ma è una storia infinitamente più complicata e infame, fatta di interessi particolari delle potenze coinvolte e soprattutto del cinismo del regime stalinista. In questo modo però Romano, ribadendo di non credere che «quello di Franco fosse "fascismo" e che la guerra civile spagnola debba considerarsi la guerra dei "fascismi" contro la democrazia», dice solo la metà di ciò che andrebbe detto. Come dobbiamo chiamare o classificare la guerra di Spagna nel suo insieme? Dal punto di vista interno e internazionale? E' ovvio che il franchismo spagnolo non ha le stesse caratteristiche del fascismo italiano, ma rimane pur sempre un regi me autoritario, nemico delle demo crazie. Non è semplicemente liquidando il concetto mitico-negativo di fascismo, tipico dell'antifascismo di sinistra, sequestrato dai comuni sti, che si ristabilisce finalmente la verità storica sulla Spagna o sulla storia europea di quegli anni. Que sta è soltanto la premessa, ormai relativamente facile da acquisire, per il lavoro ricostruttivo dello storico che deve essere ancora fatto. Gian Enrico Rusconi Usa toni aggressivi per contrastare la strumentalizzazione del passato operata dai comunisti, nega che il franchismo sia fascista ma non dice che cosa si deve intendere per fascismo Soldati franchisti nella guerra di Spagna Sergio Romano pubblica «Confessioni di un revisionista»

Persone citate: Gian Enrico Rusconi, Sergio Romano, Stalin

Luoghi citati: America, Germania, Spagna, Urss