TOYCE LUSSU a marxista aristocratica

TOYCE LUSSU a marxista aristocratica E' morta a 86 anni una protagonista del Novecento: una donna più forte di un uomo, un'antifascista bellissima e coraggiosa TOYCE LUSSU a marxista aristocratica ROMA. La scrittrice Joyce Salvadori Lussu, moglie di Emilio Lussu, è morta l'altra notte nella clinica Columbus, dove era stata ricoverata da alcuni giorni per l'aggravarsi di alcune disfunzioni di cui soffriva da tempo. Era nata a Firenze nel 1912, ma era di origine anglomarchigiana. E' stata una donna di fortissima personalità, antifascista e «ribelle» nel mondo della cultura. Scrittrice, traduttrice e poetessa apprezzata da Croce, fu un'antesignana del femminismo, ma anche una delle prime a impegnarsi sul fronte ambientalista e nel sostegno ai movimenti di liberazione in Africa. Le sue innumerevoli battaglie sono state raccontate nel libro Una vita contro, che raccoglie un'intervista realizzata dalla giovane scrittrice Silvia Bal- lestra pubblicata da Baldini & Castoldi due anni fa e della quale pubblichiamo qui sotto un ricordo. La salma di Joyce Lussu sarà cremata. Immediate le reazioni del mondo politico. Il presidente del Senato, Nicola Mancino, ha espresso u proprio cordoglio «per la scomparsa di una grande italiana che ha saputo coniugare impegno democratico, passione civile e talento letterario». Il presidente della Camera, Luciano Violante, ha ricordato l'impegno della scrittrice antifascista e la sua «incrollabile fede nei più profondi valori democratici». Massimo D'Alema, presidente del Consiglio, ha ricordato «il lungo e appassionato impegno civile, sociale e letterario» di Joyce Lussu. JOYCE Lussu Salvadori era una donna bella, intelligente, coraggiosa, appassionata, attivissima e dotata di una volontà di ferro. Chi la incontrava, solo che suscitasse in lei un qualche interesse, non sfuggiva alla sua presa, fosse una persona importante o una persona comune. Imponeva nei rapporti la sua prorompente personalità. Aveva una curiosità di uomini e cose inesauribile; e non sopportava gli inerti o i contemplativi. Con costoro conduceva polemiche feroci, e, prima di abbandonarli come perduti, tentava tutto per redimerli in nome del dovere di essere uomini nel mondo e non di fronte al mondo. La sua prima molla non era perciò intellettuale, ma etica. E la sua ragione obbediva ai sentimenti, che costituivano la bussola della sua azione. Nata a Firenze nel 1912, proveniva da una famiglia di aristocrazia agraria marchigiana. Suo padre, Guglielmo Salvadori, era un filosofo positivista traduttore e interprete di Spencer. Dalla madre, Giacinta Galletti di Cadilhac, ricavò le ascendenze inglesi che descrisse nel libro Le inglesi in Italia (1981). Era sorella di Max Salvadori, che sarebbe divenuto uno studioso del liberalismo e un militante liberale e, come lei, avrebbe combattuto nelle prime file della Resistenza. Io la conobbi che avevo 19 anni, in quella villa San Tommaso, nei pressi di Fermo, che era casa patriarcale della famiglia Salvadori. Sapevo di lei qualcosa. Che era stata un'antifascista e una resistente, che aveva avuto una medaglia d'argento al valor militare, che era la moglie di Emilio Lussu, che le sue poesie d'adolescente erano piaciute a Croce, che le aveva curate e pubblicate nel 1939. Ma non molto di più. Mi mise subito al suo torchio, cercando senza successo di rendermi meno contemplativo. Anche in linee sintetiche la biografia di Joyce parla da sé. Appartenne alla generazione che, appena affacciatasi alla vita, incontrò sulla propria strada il fascismo. E la sua era una famiglia saldamente antifascista. Il padre, come rac conta Salvemini, fu uno dei primi perseguitati dal fascismo al potere. Sicché la famiglia dovette lasciare l'Italia per la Svizzera. Joyce ebbe un'educazione di pri m'ordine, culminata negli studi di filosofia condotti a Heidelberg, dove potè seguire Jaspers, alla Sorbona e a Lisbona. Poi si recò in Kenya, col fratello, cercando una strada. E lì vide l'altro volto del mondo, quello dei più poveri, dei neri, dei colonialisti e dei coloniz zati. Tornata in Europa, gettatasi in Francia nella lotta antifascista, strinse nel 1935 un legame con Emilio Lassù, il quale sarebbe di venuto il compagno della sua vita. Raccontò anche a me più volte Joyce come avesse vinto la battaglia con Lussu. Che - diceva - impegnato qual era anima e corpo nella militanza politica, dapprima non voleva sapere di un'unione stabile e di un futuro matrimonio, tanto più con ima ragazza di 22 anni più giovane. Ma lei «non mollò». Voleva a tutti i costi il capitano della Brigata Sassari. E il capitano cedette agli occhi azzurrissimi di Joyce. Di Lussu, Joyce condivise la lotta negli anni bui degli irresistibili trionfi internazionali del fascismo; e con lui, a guerra mondiale scoppiata, visse la tragedia della caduta della Francia e la fuga da Parigi. Quando Lussu, temendo che il mondo fosse crollato, pensò per un momento di farla finita. E sempre al suo fianco fece la Resistenza, mostrando quell'eccezionale coraggio che le valse - e di ciò fu fierissima come resistente e come donna - la medaglia d'argento al valor militare. Le vicende di quegli anni Joyce le consegnò al libro Fronti e frontiere (1945). Dopo la fine della guerra, visse a Roma, militando nel Partito d'Azione e poi nel Partito socialista e nel Psiup. La sua vita, pur nelle eccezionali traversie, che le fecero anche conoscere la difficoltà del pane quotidiano, era stata ed era quella di una privilegiata. Proprio per questo sentiva acutamente l'ingiustizia del privilegio, e di¬ venne una marxista istintiva, un'aristocratica - ed ella davvero era e aveva modi da aristocratica, compreso un certo tratto personale autoritario - ribelle. Era una donna più forte di un uomo, un'attivista politica; ma con gli ideali di un'utopista e la vocazione di una letterata. E l'interesse per gli uomini e per il mondo ne fecero una viaggiatrice infaticabile. Negli ultimi decenni viaggiò in Africa, in Asia, nelle Americhe, avendo come direttrice l'appoggio senza riserve alle lotte anticolonialiste. E qui conobbe e strinse legami con Neto e Castro. Il terzomondismo divenne per lei una fede, che coltivò anche come scrittrice e traduttrice di poesia, facilitata in quest'ultimo campo dalla sua versatilità nell'apprendimento delle lingue. Tradusse, fra l'altro, le poesie Hikmet e di Ho Chi Minh. Quando non sorreggeva la filologia, non esitava a ricorrere alla sua fantasia e alla libera interpretazione. Joyce fu una femminista convinta e decisa. Come aveva lottato contro l'oppressione politica e quella sociale, così si gettò a sostenere le cause delle donne: contro la loro subalternità in tutte le forme e i loro padroni di ogni risma. Basti citare libri come Donne come te (1957), Padre, padrone, padreterno (1976), il Libro delle streghe (1990). La sua vita è stata «contro» in nome degli ideali in cui credeva. Lo sapeva bene, e per questo intitolò una raccolta di sue conversazioni Una vita contro (1997). L'ho incontrata l'ultima volta a Porto San Giorgio. Era divenuta quasi cieca. Mai un lamento. Forte come una roccia. Si faceva aiutare con naturalezza, non sopportando parole di conforto che fossero di troppo. Era una combattente al tramonto, che aveva avuto davvero molti doni, a partire da quello di essere stata una fanciulla di una bellezza che toglieva il fiato e aveva saputo scrivere poesie che toccarono il cuore del severo Benedetto Croce. Massimo L. Salvadori Moglie di Emilio Lussu, ne condivise l'impegno politico Fu la prima femminista e anticipò l'ambientalismo. Si dedicò alla poesia e al memorialismo McFlaJpt Joyce Salvadori Lussu e, nella foto più piccola, suo marito Emilio che fu tra i fondatori di «Giustizia e Libertà» Da sinistra: Mario Pannunzio, Maria Venturini, Joyce Lussu, Carlo Levi e Egidio Meneghetti