In fila per la tata, nel caos
In fila per la tata, nel caos In fila per la tata, nel caos «La mia mattina alla questura di Milano» rappresentato». Perché stava lì è presto detto: «Volevo regolarizzare la tata della mia bambina, salvadoregna. E siccome lei sta con mia figlia, a far la fila dovevo esserci io». Abituata, per lavoro, a organizzare (dirige un'azienda di consulenze) è rimasta sconvolta dalla disorganizzazione che ha trovato. «Si sta tutti assieme, senza nessuna distinzione: chi ha già la documentazione, chi ce l'ha parziale, chi non ha niente e anche chi non sa assolutamente niente. Non capisco proprio perché non si possano creare file distinte: da un lato chi ha i documenti completi, da un altro chi ha almeno il passaporto in ordine, da un altro ancora i datori di lavoro. Non per fare distinzioni antipatiche, ma per accelerare i tempi: se io, italiana, mi metto in fila per una persona immigrata mi sembra abbastanza evidente che posso fornirgli abitazione e lavoro». Disorganizzazione, ma non scortesia. «C'era uno spiegamento di polizia pazzesco, centinaia di ragazzi anche loro bloccati per ore. Nessuno è stato sgarbato, anzi erano gentili quanto potevano. Ma potevano poco perché anche loro non ne sanno abbastanza». Nessuno dava informazioni? «Hanno distribuito un volantino, lo stesso che hanno mostrato alla tv: c'è scritto quali sono i documenti necessari, nient'altro. Notare che tra questi documenti ce n'è uno, il modulo per il contratto di lavoro, che si ritira solo all'interno dell'Ufficio immigrati: non potevano, più semplicemente, distribuirlo col volantino?». Ore e ore di attesa, per niente. «Mi sono ricordata dei tempi dell'università, dove quando finalmente arrivavi davanti allo sportello te lo chiudevano in faccia perché l'orario era finito. Sono andata via, senza niente in mano e domani dovrei ripetere la stessa esperienza, di nuovo senza nessuna garanzia». La polizia dice che a chi non ha potuto consegnare la pratica (ne vengono esaminate 500 al giorno) è stato consegnato un numero con cui presentarsi nei giorni successivi. «Vero, ma il numero lo hanno avuto solo quelli che sono riusciti a entrare nella caserma; per gli altri, tantissimi - e io tra questi - proprio niente». Le cronache parlano di qualche tafferuglio, di liti, di spintoni... «La fila era lunghissima e non posso certo testimoniare per quanto non vedevo, ma dov'ero io non c'è stato nulla del genere. Anzi, la gente è stata molto pa¬ ziente, ordinata e perbene. Ho conosciuto persone deliziose, come un ragazzo africano, laureato, che parla perfettamente italiano e che lavora a Cormano come magazziniere, in nero». Per lui, come per tutti, il dubbio maggiore è il criterio di questa sanatoria: «Mi domando, ma come li scelgono questi 38 mila, chi arriva primo, chi è più alto, chi è più bello? Non si capisce, nessuno lo sa». La signora italiana non vede l'ora che ci sia anche la sua tata salvadoregna tra i regolari: «Sono due anni che non vede i suoi bambini, se tornava a casa rischiava di non poter più rientrare in Italia, di perdere lavoro e stipendio. E' un'ingiustizia profonda, che deve finire». «E' il trionfo della disorganizzazione Si sta tutti assieme indipendentemente dalle carte che si hanno»
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