PIOVENE il suicidio della borghesia

PIOVENE il suicidio della borghesia anteprima. Esce il romanzo scritto a vent'anni, rimasto finora inedito PIOVENE il suicidio della borghesia Uscirà la prossima settimana da Rizzoli il ragazzo di buona famiglia, il primo romanzo di Guido Piovene, scritto a vent'anni, fra il 1927 e il '28. Era rimasto finora inedito per volontà testamentaria dell'autore vicentino, in quante nella saga della famiglia Gaffurio si possono leggere in filigrana allusioni alle sue stesse vicende famigliari. Il libro è arricchito da una prefazione di Enzo Bettiza, che di Piovene fu a lungo amico e che con lui, con Indro Montanelli e Gianni Granzotto fondò nel giugno '74 II Giornale. Piovene, che per oltre vent'anni era stato inviato della Stampa, sarebbe morto a Londra cinque mesi dopo. Anticipiamo un brano della prefazione di Bettiza e l'incipit del romanzo. L A spinta al suicidio collettivo dell'intera famiglia Gaffurio sembra evocare, anzi sembra già anticipare la virulenta decomposizione familiare che ritroveremo due anni dopo negli Indifferenti. Pressoché coetanei, Piovene e Moravia, l'uno nel suo primo inedito, l'altro nel suo primo libro edito, paiono condividere la stessa avversione morale nei confronti della borghesia e dei valori borghesi più conclamati e più ipocriti: il culto del successo, la cupidigia del danaro, la retorica dei buoni sentimenti coniugali ammorbati da latenti infedeltà di pensiero, o da adulterii reali, consumati talora di nascosto e tal al tra anche a domicilio. Il borghesissimo Moravia s'avventa con ferocia ludica e iconoclasta contro la bassa morale di una classe cui egli stesso appartiene: la ripudia e la giustizia dall'interno. L'aristocratico Piovene, la cui famiglia patrìzia decadendo s'era imborghesita per necessità economica, infligge invece dall'esterno, con crudeltà più minuziosa e sottile, una lunga tortura cinese all'etica venale e menzognera di un ceto inferiore che gli ripugna e al quale sente di non appartenere nell'intimo. Applica perciò l'uncino della sevizia e dello scavo in una duplice dimensione, nobiliare e borghese nello stesso tempo. Da un lato egli avvolge la complessa triade dei Gaffurio nelle spire di uno psicologismo sofisticato, lirico, direi molto vicentino, che conferisce alle loro anime ambigue le velature morbide e nebbiose del paesaggio araldico che sarà poi quello della futura Novizia; da un altro lato, avvilisce la triade nel gorgo di intrighi, amicizie oblique, velleità finanziarie e sentimentali dissennate, che risentono e rivelano le piaghe di un imborghesimento volgare più lombardo che veneto. S'avverte inoltre nel romanzo, soprattutto nelle parti in cui le psicologie pervertite dei protagonisti s'intrecciano con aleatorie combinazioni affaristiche, anche l'influsso più o meno involontario della travagliata triestinità borghese di Svevo. L'inettitudine sorniona e contorta di Zeno, sempre irretito in situazioni e commerci che finiscono per prendere strade opposte a quelle da lui progettate o desiderate, non sembra molto dissimile dalle inettitudini oniriche e puerili del pioveniano Giacomo Gaffurio. Non solo la letteratura, ma pure l'arte figurativa del tempo allunga le sue penombra cromatiche su certi conturbanti squarci paesistici, che fendono e accagliano d'improvviso in un duro grumo pittorico il flusso ordinario della narrazione. L'enigmatica e truffaldina miniera di ferro in Sardegna, alla quale il Gaffurio (padre indifferente dell'ondivago Carlo) aveva tentato di affidare la soluzione miracolosa dei suoi conti in rosso, viene presentata e dipinta da Piovene come un mostro geologico appena uscito da una tela sironiana: una massa nera di quarzo, vagamente piramidale, tufacea, fosforea, infeconda, tempestata di bagliori violastri e di graffi gessosi che paiono inflitti alla roccia da un immane artiglio invisibile. Raffigurazione tetra e fantastica, da pittura povera e simbolica d'epoca fascista, pregna di cromatismo rattenuto e come carbonizzato. E' codesta montagna o grotta minacciosa, che a suo modo sembra emanare per negativo i veleni della retorica rurale e proletaria d'allora, è essa che fa da sfondo cupo, da sinistra clessidra del destino, alle stravaganze pindariche del sedicente imprenditore minerario Gaffurio. L'ombra mitologica della miniera preannuncia già, con la sua mole chimerica e luttuosa, la rovina che incombe sulla sorte dei protagonisti dominanti: il settantenne Marco presentissimo nei capitoli esorbitante da quelli centrali, il ventenne Carlo mutevole e vagante per quelli finali. I tre costituiscono tutt'insieme, così sull'oggettivo piano artistico come su quello autobiografico, un albero genealogico molto pioveniano. H complesso polifonico dei Gaffurio è, come più tardi sarà la solitaria novizia Rita, uno spec- / chio a riverberi incrociati in cui ci pare di riconoscere il volto sfaccettato dell'autore medesimo; ed è anche una prima chiave, per modo di dire iniziatica, con cui penetrare nel suo microcosmo romanzesco in gestazione. Essi infatti condensano e prefigurano in una specie di polifonia unitaria, anticipata sui tempi narrativi a venire, i connotati essenziali di tutti i suoi futuri personaggi e antipersonaggi. Doppi, sognanti, sfuggenti, dispettosi, vendicativi, al tempo stesso estatici e menzogneri con loro stessi e con gli altri, i Gaffurio già si muovono e agiscono in quel clima letterario promiscuo, oscillante fra prosa e poesia, meditazione e trasfigurazione, che formerà in seguito la griglia inconfondibile della composita narrativa di Piovene. E' proprio tale promiscuità di mezzi espressivi, che io ho trovato quasi sempre riuscita, a conferire all'arte pioveniana fin dal principio, fin dal Ragazzo, il timbro originale di un realismo lirico ed epico insieme, di cui per forza d'urto e di penetrazione non si avrà l'eguale nelle lettere del Novecento italiano. (...) Tutto ciò che avverrà in seguito, dopo il 1927 e '28, nei romanzi più maturi e più compiuti di Piovene, è evidente e operante nel tronco e nei rami genealogici dei Gaffurio. I globuli delle opere future già fermentano nella consanguineità romanzesca, oltreché parentale, che unisce nell'intimo i Gaffurio e li lega altrettanto intimamente all'autore. Così nel vecchio saturnino e punitivo, come nel figlio sognatore e nel nipote sbandato, si preannunciano in forma sufficientemente palese i grandi temi piovemani dell'ambiguità, della diplomazia dei sentimenti, delle falsità visionarie, che via via si radicalizzeranno e oilmineranno nel totale ripudio nichilistico dell'aldiquà e dell'aldilà. Enzo Bettiza Nel «Ragazzo di buona famiglia» lo stesso clima di decomposizione famigliare che si troverà di lì a poco nel Moravia degli «Indifferenti» Ma il giovane vicentino infierisce dall'esterno contro l'etica venale di una classe alla quale sente di non appartenere ni, rimasto E il suicidio della borghesiafinora inedito Nel «Ragazzo di buona famiglia» lo stesso climdi decomposizione famigliare che si troverdi lì a poco nel Moravia degli «Indifferenti» Ma il giovane vicentino infierisce dall'esterno contro l'etica venale di una classe alla qualsente di non appartene Sopra Guido Piovene visto da Loredano. Lo scrittore morì nel novembre di 24 anni fa, pochi mesi dopo avere fondato «Il Giornale» con Montanelli, Granzotto e Bettiza (nella foto a lato)

Luoghi citati: Indifferenti, Londra, Sardegna