Diliberto: abbassare i toni sulla Consulta

Diliberto: abbassare i toni sulla Consulta Sul caso 513, soltanto Elia difende la corte «vilipesa da chi ignora la storia della giustizia» Diliberto: abbassare i toni sulla Consulta Gli ex presidenti: sentenza sbagliata ROMA. Il ministro della Giustizia invita ad abbassare i toni della polemica. «La Corte Costituzionale - dice - ha esercitato le proprie prerogative costituzionali; il Parlamento e la politica devono innanzitutto rispettarle». Poi spiega che sul 513 e l'utilizzo delle dichiarazioni dei pentiti non confernate in aula, il caso non è chiuso: «Il Parlamento potrà naturalmente, esercitando la funzione legislativa che è sua prerogativa principe, intervenire sul tema, e il governo è disponibile a ragionare liberamente sulle proposte che verranno presentate». In ogni caso, conclude il Guardasigilli, «la complessità della sentenza della Corte e la delicatezza oggettiva della materia impongono a tutti una meditata riflessione, anche al fine di prendere in considerazione eventuali interventi normativi». Nell'aula di Montecitorio Oliviero Diliberto risponde così alle interrogazioni sul verdetto della Corte Costituzionale che ha cancellato un pezzo dell'articolo 513 del codice di procedura penale. E insiste nel concetto che va ripetendo da quando s'è insediato: «E' giunto il momento di smettere di pensare alla giustizia con una concezione agonistica. Sulla base della domanda, dopo ogni sentenza, su chi ha vinto: i magistrati, gli avvocati o i politici. E' tempo per tutti, a cominciare dal Guardasigilli, di stare innanzitutto al proprio posto, cioè quello assegnato a ciascuno dalla Costituzione e dalle leggi». Se il ministro Zecchino attacca la Corte Costituzionale, quindi, il suo collega della Giustizia si ritrae dalla rissa. Ma nei palazzi della politica continuano le manovre per replicare alla decisione della Consulta. Forza Italia, con un disegno di legge costituzionale presentato contemporaneamente alla Camera e al Senato, propone di inserire nella Costituzione alcuni «princìpi del giusto processo», per evitare che si ripetano sentenze come l'ultima della Corte. E Nicola Miraglia Del Giudice, per conto dell'Udr di Cossiga, annuncia una proposta «per riaffermare in maniera organica» il 513 bocciato dalla Consulta. Ma dal Senato Leopoldo Elia - expresidente della Corte e ora capogruppo del ppi a palazzo Madama si schiera a difesa della Consulta, «ingiustamente vilipesa da chi ignora la storia della giustizia costituzionale nei Paesi democratici». Secondo Elia, compito del Parlamento è «rinnovare con estrema rapidità la disciplina sui collaboratori di giustizia, riconosciuta da molti come troppo aperta agli abusi, e non giocare a ping-pong con le sentenze della Corte». Ma è lecito che i giudici costituzionali impongano una nuova normativa, come hanno fatto con l'ultima sentenza cosiddetta «additiva»? Per Elia sì: «La tecnica additiva , adottata da decenni nella giuri- sprudenza costituzionale, è posta al servizio di valori costituzionali non inventati dalla Corte, ma identificati e interpretati in una lunga e approfondita elaborazione». Un altro ex-presidente della Corte, Vincenzo Caianiello, ritiene che le sentenze con le quali la Consulta scrive di fatto una legge, sostituendosi al Parlamento, si possono fare solo quando la scelta è una sola, e dunque obbligata. «Se ci sono altre alternative - commenta -, è legittimo il dubbio che la Corte si sia indebitamente sostituita al potere legislativo. Nel caso specifico del 513, forse, c'erano altre possibilità». Dunque la Corte ha sbagliato e hanno ragione i politici a ribellarsi? «Io credo - risponde Caianiello - che quando si ha un potere, per conservarlo occorre che lo si eserciti fermandosi sempre un po' prima della linea di confine. Altrimenti si finisce per perderlo del tutto. In questo caso non bisogna sottovalutare le con- stestàzioni giunte da larghissima parte del mondo politico, che non sono uno scandalo se in passato anche dei presidenti del Consiglio come Amato e Berlusconi hanno criticato le sentenze; c'è infatti il rischio che il Parlamento intervenga per togliere del tutto il potere di fare le sentenze "additive"». Anche il professor Antonio Baldassarre è stato presidente della Corte Costituzionale, e oggi è critico verso il verdetto sul 513 e l'uso delle sentenze «additive». «La Corte spiega - ha dichiarato parzialmente incostituzionale un principio che negli Usa è uno di quelli fondamentali, ed è sancito come inviolabile nelle convenzioni internazionali che pure l'Italia ha sottoscritto. Questo significa la reintroduzione nel processo di dichiarazioni raccolte in istruttoria senza contraddittorio, sancita dalla sentenza sul 513». Quanto ai pronunciamenti «additivi», Baldassarre li vorrebbe ridotti al minimo: «Vanno fatti solo quando non c'è altra strada, mentre sul 513 secondo me potevano esserci soluzioni diverse». Giovanni Bianconi CAIANIELLO «E' legittimo il dubbio che la Corte si sia indebitamente sostituita alla Camera Se si ha un potere, per conservarlo bisogna esercitarlo fermandosi sempre un po' prima della linea di confine» BALDASSARRE «Sono critico verso il verdetto e l'uso di sentenze additive Andrebbero ridotte al minimo, solo quando non c'è altra strada, mentre I in questo caso I potevano esserci I soluzioni diverse» 1 I I I 1 A sinistra Vincenzo Caianiello qui accanto Antonio Baldassarre

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