«La vendetta del Dio Sottosviluppo» di Mario Baudino

«La vendetta del Dio Sottosviluppo» «La vendetta del Dio Sottosviluppo» Fuentes: «Avevo previsto tutto nel mio romanzo» IA CALAMITA' VISTA DAGLI SCRITTORI U N dio terribile e maligno, contro cui c'è ben poco da fare, e non valgono preghiere né riti magici, o un nemico che si getta dove non ci sono difese con al fianco un alleato ancor più potente di lui, il sottosviluppo? Dall'Avana, due scrittori guardano al disastro di Honduras e Nicaragua, El Salvador e Guatemala con prospettive diverse. E uno di loro, Leonardo Padura Fuentes, ci ha scritto un romanzo. Non sapeva di Mitch, quando ha messo mano a Paesaggio d'Autunno, ora pubblicato in Italia da Marco Tropea, ma sapeva del dio Uragan, che in questa stagione arriva dal mare col suo carico di morte. Era quello il nome con cui chiamavano questo essere malvagio gli irdios «tainos», prima di estinguersi dopo l'arrivo degli spagnoli. Lo hanno lasciato in eredita ai conquistatori-successori, e al vocabolario di tutto l'Occidente, insieme a statuette dotate di un addome pronunciato su cui è disegnata una spirale, il suo segno distintivo. E come il personaggio del romanzo, tenente Mario Conde stanco della vita da poliziotto, Padula Fuentes ci confessa che da giorni sta scrutando il cielo e sente nelle ossa il fatalismo e il terrore di quei popoli scomparsi, quando «l'uragano era stato il dio più temuto dai primi uomini che avevano vissuto qui, i quali lo consideravano il Padre dei Venti e gli attribuivano capacità intellettive e volontà, potere e malvagità». Ma c'è di più: l'uragano, come leggiamo in Paesaggio d'Autunno, «era l'incarnazione della paura per cose note e patite, la più tangibile delle paure, che poi fu ereditata e appresa da altri uomini che in altri secoli arrivarono e si soffermarono su queste coste, abbagliati dalla loro bellezza, nonostante il terribile flagello autunnale che, in memorie sfuocate, si assicurava avesse provocato piogge di sangue, di fuoco, di sabbia, di pesci, di alberi, di frutti e persino strani esseri antropomorfi... E la paura segui il suo corso». Paura e accettazione. «E' come una malattia d'autunno, come l'influenza», ironizza amaro lo scrittore. Ma al di là dell'ironia, insiste, c'è sicuramente nei cubani e nei popoli del Centro America un 'atteggia¬ mento. «Siamo davanti all'incontrollabile, alla pura brutalità, e un maggiore o un minore sviluppo non fa tutta quella differenza. Certo, a Cuba siamo preparati, però credo che se Mitch si fosse avventato sull'Avana il disastro sarebbe stato egualmente terribile». Nel suo romanzo Padula Fuentes si fa beffe dei messaggi «rassicuranti» che mentre l'uragano fittizio arriva dall'Oceano vengono inviati dalla radio, la voce dello «sviluppo». Per lui un ciclone tropicale è «la ribellione di tutte le forze della natura contro l'uomo», «una maledizione del cielo», e poi una «vendetta dell'atmosfera contro i suoi predatori». Ma davvero non c'è verso di sfuggire al padre dei venti? «C'è, eccome», gli fa eco, a poche centinaia di metri di distanza, Daniel Chavarria. Lo scrittore di L'occhio di Cibele e del recente Quell'anno a Madrid, uruguyano d'origine diventato cubano quando dirottò un aereo sull'Avana, crede poco al dio Uragan e molto di più al dio Progresso. «Non credo che se il ciclone fosse arrivato da noi il bilancio sarebbe stato cosi terribile. Quelle migliaia e migliaia di morti in Centro America sono vittime del sottosviluppo, della mancanza di preparazione. E' un dramma atroce, che quindi ci riguarda tutti». E che, mentre Mitch attenua la sua furia e sale a Nord declassandosi ormai a tempesta tropicale, incombe sul Messico, dove un altro scrittore assai impegnato sta scrutando il cielo. Paco Ignacio Taibo II, giallista «politico» autore di una celeberrima biografia di Che Guevara (il suo ultimo romanzo, edito da Marco Tropea, è II fantasma di Zapata) guarda però con occhio diverso. «La percezione nostra, messicana, non è la stessa del Centro America o di Cuba. Noi siamo un Paese soggetto a disastri, dai terremoti alle inondazioni agli uragani: viviamo in una cultura del disastro in generale. In qualche modo una cultura che accetta l'inevitabile». E ne è affascinata? «Beh, non esageriamo. C'è, parallela, la rabbia per le inefficienze governative. Anzi, il nostro maggior disastro è proprio il governo federale», scherza Taibo. Sta dicendo che l'uragano, col suo carico di morti e distruzioni, è semplicemente una della facce dell'Inevitabile? «No, dico che questa è la percezione della gente. Anche se in qualche modo il Messico è pronto all'arrivo delle tempesta tropicale». E come la chiama, dio Uragan o Sottosviluppo? «Con entrambi i nomi, temo». Mario Baudino Daniel Chavarria