Consulta divisa sui pentiti di Gio. Bia.

Consulta divisa sui pentiti Ancora proteste dal Parlamento. An: c'è un conflitto di poteri. Bertinotti: sentenza avventata Consulta divisa sui pentiti «A maggioranza» la modifica del 513 ROMA. Hanno deciso a maggioranza, dunque qualcuno dei 15 giudici costituzionali ha votato contro la sentenza che ha modificato l'articolo 513 del,codice di procedura penale. E' stata una maggioranza ampia, e questa è l'unica indiscrezione che filtra dal segreto di quella camera di consiglio, insieme all'altro messaggio che si riesce a captare tra le toghe vincolate alla consegna del silenzio: se leggessero bene le motivazioni che accompagnano il verdetto, i politici capirebbero che non c'è da gridare allo scandalo. E pure gli avvocati avrebbero di che essere soddisfatti; non fosse altro perché le richieste di gran parte dei magistrati erano di tornare alla precedente normativa, mentre la Corte ha trovato una soluzione intermedia. Ma nel mondo politico non si placano gli strali e le accuse lanciate verso la Corte Costituzionale. «E' un colpo grave alle garanzie dei cittadini», tuona Silvio Berlusconi, e Fausto Bertinotti parla di «sentenza contraddittoria e avventata». An invita Violante a sollevare un conflitto di attribuzione tra poteri, e i popolari chiedono di sospendere la discussione della riforma della legge sui pentiti. Il giorno dopo la pubblicazione del verdetto-terremoto, raccogliere dichiarazioni ufficiali nel palazzo della Consulta è impossibile. L'unica reazione che si ottiene alle proteste del Parlamento è il rimando alle motivazioni della decisione. La Corte ha di fatto reintrodotto, nei processi, le dichiarazioni dei pentiti o di altri indagati non confermate in aula, anche se attraverso il contraddittorio. E' qui che s'è sostituita al potere legislativo, denunciano i politici. Replica dei giudici costituzionali: le sentenze «additive» - cioè quel- le che non si limitano a cancellare una norma, ma ne introducono un'altra - vengono pronunciate e accettate ormai da diversi lustri. Inoltre nelle motivazioni c'è un esplicito richiamo all'autonomia del Parlamento nel decidere come tribunali e corti d'assise dovranno considerare le accuse di un imputato non confermate in aula. «La valutazione dell'efficacia probatoria di tali dichiarazioni - è scritto a pagina 66 della sentenza dovrà avvenire con la cautela e il rigore richiesti da tali caratteristiche (cioè il silenzio dell'accusatore davanti al giudice, ndr) ferma restando la facoltà del legislatore di tradurre queste ovvie esigenze in una appropriata formula narrativa». Eppure le quindici toghe riunite al palazzo della Consulta al momento del voto finale si sono divise. Per alcuni giorni - prima a maggio, poi a settembre, il mese di ottobre se n'è andato er la stesura - i giudici hanno discusso sui tre principi costituzionali che andavano garantiti contemporaneamente: l'inviolabilità del diritto di difesa, che comprende la necessità del contraddittorio; il «diritto al silenzio» dell'imputato, anche quando da pentito ha accusato altri in precedenza; la salvaguardia del processo penale come «strumento non disponibile dalle parti» per l'accertamento dei fatti e delle responsabilità. La Corte ha dovuto districarsi tra questi tre paletti, e sul fatto che la soluzione poteva essere quella indicata dall'articolo 500, comma 2 bis, dello stesso codice, erano sostanzialmente tutti d'accordo. Ma i giudici che alla fine hanno votato contro la sentenza ritenevano che questa scelta toccasse al Parlamento, non alla Corte, e quindi avrebbero salvato il 513, pur con le 'sue contraddizioni. Hanno vinto gli altri, ed è venuto il verdetto che ha scatenato la rivolta del mondo politico. [gio. bia.]

Persone citate: Bertinotti, Fausto Bertinotti, Silvio Berlusconi

Luoghi citati: Roma