Cerimonia a Palazzo Giustiniani per i novantanni dell'ex Capo dello Stato di Filippo Ceccarelli

Cerimonia a Palazzo Giustiniani per i novantanni dell'ex Capo dello Stato Cerimonia a Palazzo Giustiniani per i novantanni dell'ex Capo dello Stato Leone, il presidente ritrovato CROMA I vedremo ai cento anni!» proclama alla fine il presidente del Senato Mancino. Giovanni Leone, bianco e piccoUno dietro il tavolo, annuiva commosso. Solo a quel punto è partito l'applauso, quasi a sottolineare, insieme con l'augurio sincero per i novant'anni, il momento più elevato della mondanità istituzionale. Chi non ha conosciuto rancieri regime, si potrebbe dire con Talleyrand (e con l'ex portavoce andreottiano Andreani, che ieri sera, in un angolo, rammentava il motto con un sospiro), insomma, chi non ha conosciuto il vecchio regime non immagina la festosa malinconia di questi genetliaci e anniversari che si rincorrono e s'intrecciano tra gli affreschi della Sala Zuccari, a Palazzo Giustiniani. Sono tutti uguali e perfino rassicuranti: arrembaggio verso le poltroncine di prima fila (per quanto occupate da agenti in borghese che non le mollano fino all'arrivo del legittimo destinatario), cerimonialisti eleganti ed eccitati, pista-pista di potenti in blu o grigio, l'odore di cera e lavanda delle loro mogli. E poi Maria Pia Fanfàni, ministri, Marzullo, un paio dì sacerdoti anziani, Ombretta Fumagalli in azzurro tipo guerra di secessione, Gianni Letta con le spalle al muro, D'Onofrio sulla porta, il senatore Pera in una nicchia; quindi il discorso di Mancino, che ormai non solo ha raggiunto la perfezione assoluta nei tempi e nei modi, ma la recita pure con quel suo vocione da altoparlante, poi viene la consegna della medaglia, eventualmente anche del premio (in Oscar Luigi Scalfaro e Giovanni Leone L'ex presidente ha avuto parole di elogio per l'attuale Capo dello Stato nella buona e avversa fortuna». Il saluto di Leone, apparso arzillo anche se di eloquio un po' tremulo, è stato breve, ma a suo modo significativo. Certo, pur essendo conosciuto come raccontatore formidabile e uomo dotato di sicuro umorismo, non era sperabile sentirlo confermare o smentire la leggenda secondo cui, una volta, invitò a pranzo a Castel Porziano il temibile Idi Amin Dada facendogli credere che gli uomini della sicurezza seduti al tavolo erano i ministri. E infatti, anche senza rinunciare a una battuta sul suo accento «decisamente toscano», Leone ha preferito un linguaggio istituzionale con venature umane. Così, il senso della giornata di ieri è restato in gran parte nel riconoscimento nobilmente autocritico di Marco Pannella. L'ex presidente ha voluto menzionare anche l'università, il mondo forense (chi si ricordava che fu Leone l'inventore dell'«awiso di procedimento» altrimenti detto «di garanzia»?), la famigba, la fede e Napoli. Abbronzati, invecchiati, ma sempre simpatici, occhietti vivi ed erre moscia, sedevano in terza fila - innanz' a poppa - alcuni degli amici che la torva pubblicistica antileoniana definì a suo tèmpo «i cumparielli di San Gennaro». Leone, alla fine, pareva soddisfatto. Tre volte presidente della Camera, due volte a Pa lazzo CI ligi, penalista di livello europeo, Presidente della Re pubblica dimissionato, riabili tato e rivalutato. Una vita a suo modo forse perfino invidiabile Filippo Ceccarelli

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