France Cinéma

France Cinéma France Cinéma Aimée madrina per Firenze Anouk Aimée FIRENZE. Con un film di inazione, «Dieu seul me voit» (Solo Dio mi vede) di Bruno Podalydès, commedia su un ragazzo esitante e maldestro che vive a Versailles senza idee, senza desideri, senza scelte, è cominciata ieri la tredicesima edizione di France Cinema, il festival diretto da Aldo Tassone dedicato al cinema francese: madrina Anouk Aimée a cui viene reso omaggio, il meglio prodotto dai francesi nell'anno (due opere prime e quattro opere seconde, film di Téchiné, Lelouch, Tavernier, Miller, Planchon), incontri, dibattiti, grande retrospettiva curata da Francoise Pieri del regista de «Il corvo», de «La verità», di «Vite vendute» e del «Mistero Picasso», Henri-Georges Clouzot. Il cinema francese sembra in buona salute, informa il direttore Tassone: «Aumentano gli spettatori ( + 8%) e gli investimenti (+36%), cresce il numero dei film prodotti ( + 29) e delle opere prime (ben 46 nel 1997, cioè un terzo dell'intera produzione), cresce la presenza sul mercato italiano (3,21% contro l'l,6% del 1996)». Va peggio1 :aj\ film italiani, sul mercato francese rappresentano «appena 10 0,1%; l'anno scorso ne sono usciti in Francia soltanto 12 e il primo titolo, «Nirvana» di Salvatores, ha avuto 40.000 spettatori, mentre ne ha avuti 12.000 11 secondo, «Pizzicata» di Edoardo Winspeare, e tutti gli altri non hanno superato ì 5.000 spettatori». Il rap- Eorto e lo scambio sono deoli, l'interesse reciproco è tenue, gli accordi di coproduzione restano limitati: tanto più importante diventa quindi France Cinema, occasione rara e preziosa di contatti, d'informazione culturale, di discussione, di conoscenza. Dopo tre maestri del noir, Melville, Duvivier e Chabrol, è specialmente interessante la retrospettiva delle opere di Clouzot, autore di undici film e mezzo in trentacinque anni di attività, dal 1942 al 1977 della morte seguita a un infarto: «Come Duvivier, Clouzot ha avuto un destino davvero curioso», dice Aldo Tassone. «Salito dopo un debutto folgorante ai vertici della popolarità nel primo quindicennio della sua carriera, subì un'eclissi quasi totale a partire dagli Anni Sessanta: nemmeno il successo de "La verità" con Brigitte Bardot nel 1960 riuscì a rilanciarne l'immagine». A parte l'ostilità critica della Nouvelle Vague, Tassone attribuisce il fenomeno «anche al carattere di Clouzot, intransigente, impossibile...al suo gu sto per i contrasti, la cru delta, i colpi allo stomaco,e {ier un cinema d'azione al' americana». Intrattabile, però spiritoso. Compilando un autoritratto in forma di scheda della polizia («Ricercato, vivo o morto»), Clouzot si indicava come coinvolto nelle «attività sovver sive» dello spettacolo, peri coloso, dubbioso («Si chiede più volte al giorno se crede in Dio»), sospetto: «Ha stretti rapporti con un pittore à. soldo del bolscevismo», ossia Picasso del quale il regista riuscì a cogliere il percorso creativo nel suo documentario meraviglioso [1. t.] Anouk Aimée

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