Stati Uniti e Europa, inizia il match dell'effetto-serra

Stati Uniti e Europa, inizia il match dell'effetto-serra Stati Uniti e Europa, inizia il match dell'effetto-serra NEW YORK NOSTRO SERVIZIO L'anno scorso nel parlare siamo stati bravissimi, sapremo esserlo anche nel fare? E in sostanza questo il quesito cui i rappresentanti di 170 Paesi dovranno rispondere nella conferenza sull'«effetto serra» che si è aperta ieri a Buenos Aires sotto gli auspici dell'Orni. La bravura dell'anno scorso, manifestatasi alla riunione di Kyoto del dicembre 1997, consistette nel mettere insieme un accordo chiamato per l'appunto il «protocollo di Kyoto», in cui i maggiori Paesi industrializzati si impegnavano a ridurre l'emissione dei gas responsabili dell'«effetto serra» dì almeno il 5,2 per cento in un periodo che va dai 10 ai 15 anni. Ma le possibilità di evitare che il protocollo di Kyoto diventi «un inutile pezzo di carta», come dice il giapponese Hiroshi Oki, che l'anno scorso sputò sangue per arrivare a convincere tutti, sembrano molto concrete. Intanto c'è un dato di fatto allo stesso tempo triste e buffo: a ratificare quel protocollo, nell'anno trascorso dalla sua firma, è stato un solo Paese, le Isole Figi, che è come se il trattato sulla messa al bando delle armi nucleari venisse ratificato solo dal Principato di Monaco. Ma oltre a questo c'è la disputa fra americani e europei sui «modi» che la riduzione dei gas deve prendere. Gli Stati Uniti, che da soli emettono ogni giorno il 25 per cento dei gas industriali che vanno ad allargare il «buco» nell'ozono, hanno indicato un modo tutto loro di ottenere la riduzione: quello di pagare i Paesi in via di sviluppo per il loro impegno a non produrre quei gas. Cioè invece di puhre la propria casa (cosa difficilissima perché imporre leggi restrittive alle industrie americane è duro: la strada che si sta percorrendo al Congresso è quella di allettarle con «premi fiscali» affinché si autolimitino «volontariamente») il governo americano intende «aiutare» chi evita di sporcare la propria, perché costa meno e perché tanto il risultato «generale» è lo stesso. L'Unione Europea non è contraria, in via di principio, a que¬ sto sistema di «scambio dei crediti», ma vuole regolamentarlo. Un Paese, sostiene, può contrabbandare come propria la pulizia che altri hanno fatto grazie ai suoi soldi, ma solo entro certi limiti: una parte della pulizia deve comunque essere fatta in casa propria, anche perché il mancato inquinamento dei Paesi in via di sviluppo è in gran parte «a futura memoria», mentre quello attualmente provocato dai Paesi industrializzati è concreto, quotidiano e micidiale. Su questo punto la conferenza di Buenos Aires rischia di arenarsi, e infatti il suo inizio è avvenuto all'insegna delle «aspettative più modeste». Messo da parte l'entusiasmo dell'anno scorso, accantonata la possibilità di arrivare alla firma di un trattato che «imponga» il rispetto del protocollo di Kyoto, come obiettivo ci si è dato quello di accordarsi perlomeno su tempi e modi della prosecuzione del dialogo, proprio come avviene di solito nelle trattative che falliscono: non abbiamo trovato nessun accordo ma abbiamo deciso di continuare a discutere. Nel caso della conferenza di Buenos Aires, quella consolazione sembra al momento l'unico possibile (ma non necessariamente probabile) «passo avanti». Ma i lavori proseguiranno per 12 giorni. Franco Pantarelli Alla Conferenza Onu di Buenos Aires si cerca di rendere effettivo l'impegno a ridurre i gas nemici dell'ozono e. CHI HAUTI HIT BIOSSIDO Di (ARSOMI® am .—, mm O^f m Is* iii ■ CN ■ H CN 'e fe»w«<iolte detersi» Mji Jitrtoli {produzione d'el«m itHò e dt amento),*)! trapali dui riscattimelo, ma ondie dooji «tendi deile foreste. Gii altri gas contribuiscono per tirai la «telò all'cIfertoKrfD. STATI CINA RUSSIA GIAPPONE GERMANIA milioni di tonnellate milioni di tonneliste/abituitte IS w co GRAN BRETAGNA FRANCIA COREA DEL SUD MESSICO

Persone citate: Franco Pantarelli