Il Pool: vittoria della giustizia di Paolo Colonnello

Il Pool: vittoria della giustizia Il Pool: vittoria della giustizia MILANO ON abbiamo vinto noi ma semmai la Costituzione». Francesco Saverio Borrelli preferisce limitarsi all'indispensabile, con un commento che non suoni trionfalistico. Anche se nella procura di Mani Pulite nessuno lo nasconde: la sentenza della Consulta che azzera in pratica la riforma dell'articolo 513, è una vittoria dei pubblici ministeri. Ancor più di quelli del pool, visto che tra i primi a sollevare una questione di costituzionalità sulla norma era stato proprio il pm Paolo Ielo nel corso del processo per la «svendita» delle proprietà immobiliari della ex Baggina. Ma se sul piano concreto la nuova revisione del 513 faciliterà il lavoro dell'accusa nei processi già in corso, sul piano dei principi giuridici gli stessi magistrati ammettono che la legislazione torna ad essere carente. «L'indagato che ha reso delle dichiarazioni istruttorie - dice ancora Borrelli dopo una prima e veloce lettura della sentenza - a questo punto dovrebbe essere trattato alla stregua di un testimone. Devono esserci cioè gli strumenti per far sì che chi ha scelto di rendere dichiarazioni all'inizio dell'istruttoria sia coerente fino al processo». Più esplicito Francesco Greco: «Il legislatore dovrebbe fornire gli strumenti perché l'imputato che lascia dichiarazioni a verbale, magari accusando qualcun altro, possa essere sanzionato se al processo rifiuta di ripeterle. Insomma, non so se con questa decisione sia stato fatto davvero un passo avanti». Per Greco in pratica la sentenza della Corte Costituzionale reintroduce dalla finestra quello che i legislatori avevano fatto uscire dalla porta, ovvero l'acquisizione a processo dei verbali resi in istruttoria senza la necessità di una conferma «dal vivo» dell'imputato. Ma l'aggiunto Gerardo D'Ambrosio, delegato a leggere con più attenzione la sentenza per un commento «ufficiale», non la pensa così. Dunque il suo, dottor D'Ambrosio, è un giudizio positivo? «Questa sentenza è ben motivata, ci sono affermazioni di principio con divisibili e si fa un passo avanti ver so un processo giusto». Per gli avvocati invece è uno schiaffo alle difese: in fondo si reintroduce il principio che un imputato possa fare affermazioni senza essere poi costretto a confermarle in aula. I «Non è esattamente così. Intanto si tornano a riconoscere le esigenze del processo che, oltre alle garanzie per l'imputato, sono l'accertamento della verità, contemperando i diritti delle difese». In che modo le difese potrebbero trarre dei vantaggi? «Perché ora c'è la possibilità per la difesa del contraddittorio in dibattimento. Cosa che, prima della riforma del 513, non esisteva. Finora, davanti al diritto della facoltà di non rispondere di un imputato, la difesa non poteva fare contestazioni. I verbali dell'indagato, o meglio dell'imputato di reato connesso che magari accusava un altro imputato ma non voleva confermare in aula, venivano acquisiti dal tribunale e basta. Adesso invece i verbali non potranno essere semplicemente acquisiti, ma gli avvocati potranno pretendere e ottenere di rivolgere a loro volta delle domande». E se l'imputato in questione continua ad avvalersi della facoltà di non rispondere? «A questo punto sarà il giudice a valutare il comportamento dell'imputato che non intende rispondere e l'avvocato potrà sottolineare atteggiamenti scorretti. Comunque potrà contestare le sue dichiarazioni. Cambia insomma il criterio di valutazione della prova». Eppure anche voi avevate valutato il principio giurìdico contenuto nella riforma del 513 come estremamente giusto e civile. «Nessuno dice che la legge sia perfetta. Noi stessi avevamo fatto la proposta di rendere irreversibile la scelta di parlare decisa da un indagato in fase d'indagini preliminari, rendendo così fattivo il contraddittorio. Ma sono decisioni che spettano al legislatore». Secondo alcuni però in questo modo la Consulta ha annullato del tutto il principio. «E' esattamente il contrario. Con questa sentenza il principio è stato introdotto. Ma facendo salve le varie esigenze. Esiste cioè l'interesse dell'imputato a non rispondere per salvaguardare se stesso, quello del difensore a controllare gli atti, quello del giudice a salvaguardare il processo. Prima con il 513 riformato, se le dichiarazioni dell'imputato non venivano confermate in aula, queste si potevano prendere e buttare nel cestino. Non mi sembra fosse una gran garanzia per la collettività». Paolo Colonnello

Persone citate: Borrelli, D'ambrosio, Francesco Greco, Francesco Saverio Borrelli, Gerardo D'ambrosio, Greco, Paolo Ielo

Luoghi citati: Milano