QUEL BEATO CHE TORINO DIMENTICA
QUEL BEATO CHE TORINO DIMENTICA PROPOSTA DI MESSORI QUEL BEATO CHE TORINO DIMENTICA E RA la metà degli Anni Cinquanta, quando Giulio De Benedetti realizzò una delle sue geniali «trovate»: quello Specchio dei tempi che, curato personalmente da lui, non solo finì per caratterizzare La Stampa ma, nei decenni di pubblicazione ininterrotta, ha costituito - e costituisce - una stimma del «pensare comune» torinese. Ebbene, sabato scorso, una lettrice scriveva alla rubrica per un singolare quesito: l'ammiraglio Emilio Faà di Bruno era per caso parente di Francesco, beatificato giusto dieci anni fa da Giovanni Paolo li? Confesso di avere avuto un piccolo sobbalzo. Come autore di una biografìa di quel beato nonché devoto della sua memoria, mi sono chiesto quali percorsi avessero condotto l'anonima signora a porsi una simile domanda e a rivolgersi poi non a una enciclopedia, ma alla rubrica del giornale. Come che sia, un'occasione da cogliere per i motivi che cercherò di dire. Ma non prima, ovviamente, di aver risposto al quesito. Ebbene, sì: l'ammiraglio Emilio Faà di Bruno, medaglia d'oro, inabissatosi il 20 luglio 1866 davanti a Lissa con la corazzata Re d'Italia da lui comandata, era fratello di Francesco, la cui tomba è venerata a Torino, in Borgo San Donato. La chiesa in cui giace è conosciuta dai torinesi come «Santa Zita», dal nome della protettrice delle «serve» (il vero, dimenticato proletariato urbano dell'Ottocento), a benefìcio delle quali il beato dedicò gran parte della sua instancabile opera caritativa. In realtà, il tempio fu costruito dal Faà sotto il titolo di «Nostra Signora del Suffragio», perché vi si pregasse in parti colare per i caduti in tutte le guerre, di ogni nazione. A questa devozione singo- VHtorio Messori CONTINUA A PAG. 11 SESTA COLONNA
Persone citate: Emilio Faà, Giovanni Paolo, Giulio De Benedetti, Messori, Santa Zita
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