Usa, il computer fa più paura dell'Euro di Stefano Lepri

Usa, il computer fa più paura dell'Euro Il dollaro peserà meno nelle transazioni mondiali. Preoccupa Tallarme-caos della Bundesbank Usa, il computer fa più paura dell'Euro L'America si prepara al grande urto NEW YORK DAL NOSTRO INVIATO «E' imo scenario remoto quello dell'instabilità dell'Euro; eppure è significativo che negli ultimi giorni si sia ricominciato un pochino a parlarne» si lascia sfuggire Karen Parker, economista della Chase Manhattan Bank. Negli ultimi giorni, gli americani si stanno preoccupando per la tensione tra governi e banche centrali che si è aperta in Europa, «con 13 governi di sinistra su 15 Paesi». E' ancora poco, per incrinare l'attitudine benevola, ottimista sull'Unione Monetaria che finalmente si è affermata negli Usa, dopo tanto scetticismo; però è un segno che va notato. La grande finanza a New York e il governo a Washington sono ben informati e restano tranquilli. Altrove qualche diffidenza potrebbe riemergere. E' sul negativo Dominick Salvatore, economista della newyorkese Fordham University: «I governi di sinistra porteranno a un rallentamento delle necessarie riforme strutturali»; per questo e per altri motivi ci sarà «grande instabilità» nel rapporto di cambio tra Euro e dollaro. Tuttavia gli analisti finanziari rimangono, per lo più, ottimisti: «Solo se starà zitto, il nuovo ministro delle Finanze tedesco Oskar Lafontaine otterrà una riduzione dei tassi di interesse - ironizza Larry Kreichner, capo economista del grande fondo di investimento Alliance Capital - mentre se conti nua a chiederla la Bundesbank e la Bce si irrigidiranno. Ma in conclusione credo che questi politici siano più saggi di quanto la loro retorica faccia apparire». «Sicuramente una revisione del patto di stabilità mi pare impossibile - precisa Karer Parker della Chase - e tuttavia con una crescita debole come quella che noi nel nostro ufficio studi prevediamo per l'Europa, 1,5-2% nel '99, il contrasto tra governi orientati all'espansione e banche centrali orientate alla stabilità tornerà ad emergere». H contrasto durerà poco, prevede per parte sua Peter Kennen, cattedra a Princetone, uno dei più noti economisti monetari, perché in gennaio o febbraio la Banca Centrale Europea abbasserà al 3% il tasso guida sull'Euro: «Lafontaine farà marcia indietro. La questione si farebbe davvero grave solo se l'Ecofin decidesse di prendere posizione sui tassi di cambio, ma non lo credo». Se le aspettative americane appaiono talvolta fragili, è perché c'è voluta molta fatica qui a convincersi che l'Unione Monetaria Europea poteva funzionare e funzionare per il meglio. Le correzioni di rotta dei più noti economisti, dai vecchi come Milton Friedman ai giovani come Paul Krugman, sono state impressionanti. Ancora un mese fa, al G-7, il Tesoro degli Stati Uniti aveva cercato di attenuare le formule di buon auspicio all'Euro nei comunicati ufficiali. Ora a Washington si professa disponibilità piena. Era questo lo scopo del viaggio che l'Usia, agenzia di informazioni del governo, ha organizzato per un gruppo di esperti governativi, economi¬ sti di banche centrali e giornalisti europei. «Oltretutto - ha spiegato Charles Ludolph, alto funzionario del dipartimento del Commercio - la crisi dell'Asia e dei Paesi emergenti restringe l'Atlantico: tocca ad America ed Europa, cuore dell'economia mondiale, la responsabilità di assicurare la crescita». Ma gli americani non hanno paura che l'Euro diventi un rivale per il dollaro? Tuttaltro, ha assicurato l'altro giorno William Me Donough, presidente della Federai Reserve di New York, in un convegno alla Fordham University: una valuta internazionale in concorrenza renderà gli americani «più onesti» perché sarà per loro meno facile - più caro, con interessi più alti - finanziare all'estero eventuali nuovi deficit di bilancio. E' questo il distaccato, ele¬ gante ragionamento che si sente fare dentro gli uffici della Federai Reserve, in C Street a Washington. Gli Stati Uniti accettano amichevolmente la sfida, e vinca il migliore; nel giro di qualche anno, il ruolo del dollaro nelle transazioni mondiali potrebbe scendere dall'attuale 70% al 60% o al 50%, con l'Euro al 3040%, secondo le previsioni correnti tra New York e Washington. Alla radice del passato scetticismo americano c'era un concetto caro anche a diversi economisti euroscettici, quello di «area monetaria ottimale»: l'Europa a 11 non sarebbe adatta ad avere una moneta unica perché non ha meccanismi di riequilibrio tra le sue parti (un unico bilancio pubblico, migrazione di lavoratori da un'area all'altra). Ma, nel loro pragmatismo, gli americani sembrano essersi sbarazzati di questo schema teorico. Alla Federai Reserve non sembra più in voga. Gli economisti scherzano sul fatto che Robert Mundell, creatore del concetto e con un articolo di 30 anni fa, sia oggi uno dei più convinti fautori dell'Euro. «E le economie dei nostri Paesi, dalla Finlandia all'Italia, sono molto meno diverse tra loro di quanto voi americani crediate» è tenuta a spiegare la scorsa settimana Sirkka H?am?al?ainen, membro del direttorio della Banca Centrale Europea. «E' proprio il contrario: con l'Euro, l'Eurolandia diverrà una area monetaria ottimale» proclama senz'altro John Lipsky, capo economista della Chase. Fuori dalle sue due capitali, l'America peraltro non sembra né ottimista né pessimista, sembra indifferente, quando non disinformata. «La maggior parte delle aziende Usa ritiene che i problemi dell'anno 2000 nei programmi dei computer siano assai più importanti dell'Euro» riassume l'economista industriale Alfred Holden. «Si sbagliano di grosso, e noi stiamo tentando di dimostrarlo» obietta John Dewereaux, della società di consulenza Price Waterhouse, che punta molto a colmare, fornendo i suoi servizi, le enormi lacune di disinformazione: «Adeguarsi all'Euro costerà almeno il 50% in più dell'Y2K» (la sigla in cui tutti in America indicano il problema dell'anno 2000 nei computer). Stefano Lepri Alan Greenspan presidente della Fed