«Perché vinse il Vietnam »

«Perché vinse il Vietnam » L'uomo che umiliò l'America: se Kennedy non fosse stato ucciso avrebbe fermato la guerra «Perché vinse il Vietnam » Il figlio di JFK a colloquio con Giap IHANOI N una sconnessa villa francese avvolta dagli alberi, vive il vecchio, piccolo uomo che sconfisse i potenti eserciti di Francia e Stati Uniti, cacciandoli sconfitti e sconcertati dal suo Paese. L'anziano generale Va Nguyen Giap è il fondatore ed ex capo dell'Esercito Popolare del Vietnam, l'uomo che ha colto una della più improbabili vittorie della storia militare schiacciando i francesi a Dien Bien Phu e, anni dopo, disorientò gli americani a Khe Sanh. «Tutti devono combattere», dice Giap della tradizionale filosofia militare vietnamita. Mescolando questo principio con l'implacabile indottrinamento politico delle truppe, egli forgio una possente forza combattente che, ancora oggi, resta una delle migliori fanterie del mondo. Nato in una delle zone più povere del Vietnam centrale da genitori di modeste condizioni, all'età di dieci anni Giap perse il padre, morto in una prigione francese per attività anti-coloniale. All'età di 32 anni aveva già perso la moglie e la cognata, morte in carcere per la loro attività anti-francese. Nel 1940 Ho Chi Minh affidò a lui, un insegnante, il compito di creare l'esercito popolare, ma solo 14 anni dopo, nel 1954, dopo 56 giorni d'assedio, riuscì a conquistare l'apparentemente imprendibile fortezza di Diem Bien Phu. I francesi persero 11.500 uomini, la «perla dell'Indocina» e, so prattutto, soffrirono una colossale umiliazione nazionale. Degli americani, Giap disse: «Li batteremo quando avranno il massimo degli uomini, di armi e di speranze di vittoria, perché tutta la loro potenza diventerà una macina di mulino attorno al loro collo». E così combatté, senza alcun riguardo per le perdite umane del suo esercito. Oggi, in vece, lo stesso uomo è diventato un partigiano del riawicina- mento tra il Vietnam e gli Stati Uniti: «Un tempo ero un generale di guerra, ora voglio essere un generale di pace». Come è possibile che la sua vocazione a fare l'insegnante l'abbia preparata ad essere il comandante supremo dell'esercito vietnamita? «Perché, come tutti i vietnamiti, io volevo l'indipendenza, e noi abbiamo un proverbio che dice "Il nemico arriva in casa, e anche le donne combattono". Così, quando mi si chiede chi fosse il miglior generale vietnamita, io rispondo: "il popolo"». Che differenza c'era tra il combattere contro i francesi e contro gli americani? «I francesi pensavano che, avendo governato il Vietnam per quasi un secolo, capissero la situazione. Ed erano decisi a vincere. Ma proprio quando raccolsero la massima forza militare ed erano sicuri della vittoria, fallirono: all'assedio di Dien Bien Phu nel 1954. Molti generali e ministri francesi arrivarono a Dien Bien Phu prima che cadesse; vennero anche alcuni americani. E tutti dissero che Dien Bien Phu non poteva essere distrutta. Poi cadde», (sorrìde) Gli Usa e il Vietnam erano nemici improbabili: Ho Chi Minh citava la dichiarazio- ne d'indipendenza americana nei suoi discorsi, e gli americani fornirono ai vietnamiti assistenza tecnica durante la lotta contro i giapponesi, nella seconda guerra mondiale. Aveva mai creduto che un giorno avrebbe combattuto gli americani? «E' vero, i vietnamiti e gli americani hanno avuto una lunga storia d'amicizia. Il Presidente Jefferson, quando era ministro a Parigi, incontrò il figlio di un re vietnamita. Voleva dei semi di riso da portare con sé negli Usa. Durante la seconda guerra mondiale un gruppo di americani comandati dal maggiore Allison Thomas, si paracadutò nella zona di guerra, e combatté con noi contro i giapponesi. Se questa collaborazione fosse continuata, non ci sarebbe stata guerra fra noi. Il generale De Gaulle venne a Phnom Penh nel 1963 e disse: "Noi abbiamo perso la guerra, quindi gli americani non s'immischieranno". Ma gli americani risposero: "La Francia è una cosa, l'America un'altra. Noi abbiamo una forza gigantesca e quindi vinceremo". E nel momento in cui la forza americana era al massimo, quando loro erano sicuri di vincere, anch'essi fallirono. Quando suo padre era Presidente, io ero comandante in capo, e dovevo esaminare attentamente i suoi pensieri e la sua politica. Inizialmente credevo che intendesse usare la forza militare per aiutare il governo di Saigon a fermare il movimento comunista. Ma ora, grazie ai documenti storici, ho appreso che il Presidente Kennedy ci aveva ripensato, e che non voleva appoggiare il regime di Ngo Dinh Diem a Saigon. Egli voleva coinvolgere gli Usa nella guerra in Vietnam solo fino a un certo punto. Se quel disgraziato evento - la morte di suo padre - non fosse avvenuto, le cose sarebbero andate diversamente, non come andarono sotto Johnson e Nixon». Lei ha detto che la guerra contro gli Usa fu una guerra politica tanto quanto militare. Cosa intendeva? «Come disse il Presidente Ho Chi Minh, non c'è mai una strategia puramente militare. La nostra strategia includeva tutto: politica, difesa, economia, aspetti diplomatici. E non fu una guerra combattuta solo dai militari, fu combattuta da tutto il popolo Questo è un punto che i generali ed i politici americani non capivano». Cosa intende quando dice che francesi e americani furono sconfitti quando erano militarmente più forti? «Rispetto alla Cina o agli Usa, il Vietnam è un Paese piccolo. La nostra popolazione non è tanto numerosa, ma in mille anni d'indipendenza, ogni singola dinastia cinese attaccò il Vietnam, e tutte furono sconfitte, perché i vietnamiti hanno un modo di combattere che è solo loro. Negli anni Sessanta andai in Urss per chiedere aiuto, perché all'epoca i bombardieri americani B-52 attaccavano pesantemente. All'incontro di Mosca c'era il Politburo sovietico al completo, con Brezhnev e Kossighin. Kossighin mi chiese: "Compagno Giap, lei dice che sconfiggerete l'America. Vorrei chiederle allora quante divisioni meccanizzate avete voi e quante gli americani, e quanti carri armati e quanti aerei hanno loro". Io risposi: "Capisco la sua domanda circa la sproporzione delle forze, compagno; è la base della scienza militare sovietica, una scienza eminente che ha sconfitto molti nemici. Ma se dovessimo combattere alla vostra maniera non reggeremmo per più di due ore". Dopo la no- stra vittoria ebbi occasione di tornare a Mosca, e incontrai Kossighin di nuovo. Mi strinse la mano ed era molto sorpreso. "Grande!", disse, "Voi, compagni, combattete benissimo"». Si è scritto molto di quanto male fossero preparati ed equipaggiati gli americani per combattere una guerra di terra nel Sud-Est asiatico. Lei che ne pensa? «Ho letto alcuni racconti di soldati americani su come fu combattuta la guerra. Un tenente disse: "Quando esci sul campo di battaglia, è solo allora che capisci com'è la guerra in Vietnam. I capi non lo capiscono. Noi cerchiamo il nemico dappertutto e non troviamo nulla, ma quando pensiamo che non ci sia alcun nemico, appaiono i viet. Non c'è nessuna linea del fronte, ma il fronte è dappertutto, vediamo una persona qualsiasi ed abbiamo paura. Vediamo un bambino ed abbiamo paura. Vediamo una foglia che si muove, e di nuovo abbiamo paura"». In questi giorni mi ha sorpreso il fatto che ci sia pochissima ostilità nei confronti degli americani. Perché? «Recentemente un veterano di guerra americano è venuto a vedermi, ed io l'ho ricevuto molto calorosamente. Mi disse: "Non capisco, io in passato sono venuto ad attaccare il Vietnam, e lei mi riceve così". Ed io risposi: "Prima i vostri soldati vennero qui portando i fucili, e noi li accogliemmo come si fa con chi porta armi. Ora venite come turisti, e noi vi riceviamo con spirito di ospitalità". Quell'uomo iniziò a piangere. Ho ricevuto anche l'ammiraglio Zumwalt, il comandante che ordinò i bombardamenti con la diossina. Mi disse che il suo stesso figlio aveva sofferto a causa di quell'agente chimico. "Facevo solo il mio dovere", mi disse l'ammiraglio, ed io risposi: "Capisco". Allora il problema ora è questo: cosa possiamo fare per avvicinare i nostri due popoli, che entrambi amano la pace?» Come si può arrivare alla riconciliazione? «Ogni cittadino americano di buona volontà dovrebbe fare qualcosa per migliorare le relazioni. Ci dobbiamo comprendere meglio, soprattutto le giovani generazioni. Le dirò un'altra cosa: forse l'eredità più dolorosa della guerra sono gli effetti della diossina. In quanto persone umanitarie, abbiamo la comune responsabilità di aiutare le vittime vietnamite a superare le loro difficoltà». John Kennedy Copyright «George» e «La Stampa» UNon ci fu mai una strategia solo militare, noi includevamo tutto politica, difesa economia, diplomazia Fu un conflitto combattuto dal popolo. Voi non lo capiste mai i fi Kossighin chiese "Quante divisioni corazzate avete da contrapporre a quelle americane?" Compagno, dissi, se combattessimo con queste regole non riusciremmo a resistere due ore fifi Recentemente è venuto a trovarmi un reduce dagli Usa e l'ho ricevuto cordialmente. Era molto stupito Ma adesso i nostri popoli devono comprendersi meglio soprattutto le nuove generazioni^ fivuecmMpcsgstKm"g«dbdbsccnpnnfu A destra il generale Va Nguyen Giap artefice della vittoria militare del piccolo Vietnam, prima contro la Francia poi contro gli Stati Uniti Lui preferisce dire che il merito della vittoria fu del popolo Sotto John John Kennedy figlio di JFK A destra una celebre immagine della fuga degli americani da Saigon nel 75