Le pallottole che cambiarono Israele

Le pallottole che cambiarono Israele Tre anni dopo l'assassinio di Rabin, il partito della pace ha conquistato il Paese Le pallottole che cambiarono Israele TTEL AVIV RE pallottole e tre anni che hanno cambiato la storia del Medio Oriente. Oggi Israele celebra l'anniversario della morte di Yitzhak Rabin. Ieri sera di nuovo si è svolto il dolente rito delle candele, dei canti; i giovani con i volti rigati di lacrime, accoccolati sull'asfalto della piazza di Tel Aviv dove Rabin cadde sotto i colpi di pistola di un giovane yemenita religioso, Ygal Amir, hanno rinnovato il grande dolore della perdita ascoltando Lea Rabin e tanti leader della sinistra, ma anche del governo. Intorno alla memoria del grande soldato che, proprio perché tale, seppe più di ogni altro desiderare la pace e stringere la mano al suo peggior nemico, sono cresciuti in questi tre anni cattedrali di lutto, libri di preghiere dei rabbini di riformati, memorie personali che scavano nella dolcezza e nella bruschezza dell'uomo, grandi polemiche su chi sia il suo legittimo erede, e anche su quanto territorio fosse davvero disposto Yitzhak a consegnare all'Autonomia Palestinese. La cronista ricorda che, dopo la vittoria della sinistra che nel '92 riconsegnava il governo ai laboristi, alla fine di un'intervista chiese al leader perché non sorridesse mai, neppure in un'occasione come quella; e Rabin le rispose: «Le pare che ci sia qualcosa da ridere, qui?». La memoria, in mi Paese molto bene allenato nel rito del lutto collettivo, funziona, non ha crepe, continua intatta. E però si sente al fondo dei riti di celebrazione un'interna incertezza, una specie di necessità di dire cose nuove che ancora, tuttavia, non vengono alle labbra. A dir poco, infatti, è bizzarro ciò che sta accadendo sul fronte della grande scelta di Rabin, la pace, là dove si fanno i conti sulla grandezza e la giustezza del suo sacrificio. Se si potesse ragionare senza sentimenti, diremo che, se Ygal Amir non avesse sparato, mai la pace avrebbe conquistato non più la metà dello spettro politico, ma tutt'intero l'arco delle forze israeliane, esclusa una minoranza esigua e furiosa, quella dei religiosi nazionalisti. Infatti il sup- ' porto al processo di pace è passato in tre anni dal 48 all'88 per cento. Netanyahu ha firmato, dica quel che vuole, una pace che, né più né meno, sia pure con la forte accentuazione del¬ l'aspetto della sicurezza, riproduce l'accordo di Oslo. Ma al di là di questo, se Rabin fosse vivo potrebbe vedere il fantastico spettacolo di Ariel Sharon, il superfalco della storia israeliana, principale protagonista di una trattativa che cede consistenti porzioni di terre ai palestinesi, e che appare l'uomo in definitiva più propenso ad accettare imo Stato palestinese. E ancora, se ci guarda da lassù, vede Bibi, che era stato a suo tempo accusato di essere uno dei mandanti oggettivi del delitto, chiuso in casa mentre nella strada, di fronte alle sue finestre, le stesse facce, le stesse voci, gli gridano proprio i medesimi insulti che eccitarono l'animo dell'assassino di Rabin: «Traditore, assassino dei tuoi, bugiardo». E qualche giovane che ha già dichiarato alla televisione e alla radio: «Bisogna per forza ucciderlo». La rabbia oggi è ancora maggiore perché Netanyahu ha spostato completamente il suo partito, il Likud, dal campo avverso della pace a quello favorevole, rendendo il panorama israeliano stranamente compatto. Eppure, Rabin potrebbe vedere, nonostante tutti questi immensi cambiamenti, che la nuova compattezza politica sul tema della pace non crea nessun rapporto consistente, per strano che possa sembrare, fra la vecchia destra e la vecchia sinistra. Il grande Shimon Peres resta il solo iscritto al partito della pace, poiché seguita a ripetere di essere pronto a un governo di coalizione, purché esso faccia la pace, l'unica cosa che ritiene importante per Israele. Invece Netanyahu seguita ad accusare il partito laborista di viltà nei con¬ fronti dei palestinesi, di arrendevolezza, e lo fa con toni molto aspri; intanto i laboristi sembrano pronti a incestuosi rapporti con la destra estrema nazionalista e religiosa purché li aiuti a far cadere il governo e ad andare a elezioni anticipate. Tuttavia se Ygal Amir, per qualche ragione, un giorno, da vecchio, uscirà dalla prigione, è realistico pensare che, sempre che il terrorismo non seppellisca ogni ragionevolezza con cataste di morti e di feriti, si troverà di fronte esattamente a ciò che non avrebbe mai voluto vedere: un'Israele ridotto quanto a chilometri quadrati, in cui è definitivamente tramontata l'ossessione territoriale che gli armò la mano; e accanto ad essa, lo Stato Palestinese. Se la sorte gli darà, dunque, di visitare di nuovo la piazza del suo ripugnante delitto, il suo cielo, il suo mare, la gente che passa, tutto allora celebrerà la gloria di Rabin. Fiamma Niranstein Centinaia di migliaia di persone hanno partecipato ieri alla commemorazione di Yitzhak Rabin

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