Il premier: voglio più capitalisti

Il premier: voglio più capitalisti Il premier: voglio più capitalisti «Leprivatizzazioni devono allargare il mercato» ORVIETO LA STRATEGIA BEL GOVERNO ORVIETO DAL NOSTRO INVIATO C'è qui nel salone del Palazzo dei capitani del popolo ad Orvieto qualche vittima che la sinistra ha lasciato sul terreno nella sua prima esperienza diretta al governo, quella di Prodi. Enzo Siciliano che ripete senza posa: «Qui si fanno discorsi alti, anzi altissimi». 0 Vito Gamberale, ex amministratore della società delle telecomunicazioni e grande protetto di Massimo D'Alema, che racconta le sue sventure: «Sono andato alla Telecom e ne sono uscito riformato. Il problema è vedere come ssaanno fatte le prossime privatizzazioni. Se questi ne sono capaci?». E la risposta alla domanda retorica è un sospiro seguito da un «ci siamo capiti» di uguale tenore. C'è il nume tutelare del riformismo italiano Giuliano Amato che dopo aver disertato la Cosa due, ha preso l'ultimo treno per il governo D'Alema. Lui è soddisfatto: «Avete visto quanti passi avanti hanno fatto i cugini in pochi anni...». C'è chi come l'economista Michele Salvati è spaventato dalla distanza siderale che divide i discorsi che si fanno in quella sala e le questioni di governo: «Qui parlano della Madonna». La stessa cosa dice con maggior tatto il segretario della Cgil, Cofferati, venuto ad Orvieto per adempiere all'obbligo formale di ribadire l'autonomia del sindacato dal governo, anche dal primo a guida post-comunista: «La sinistra pensa al suo futuro. Bisogna vedere se poi riuscirà a mettere in pratica tutto questo». E ancora, c'è Walter Veltroni che apre bocca solo per dire che parlerà solo dopo il sei novembre, data in cui assumerà la segretria dei ds. E Claudio Petruccioli che, manco a dirlo, ce l'ha «con il Dio seduto in platea», alias D'Alema. Manca, di fatto, solo Prodi: «E' partito per l'Egitto» si limita a dire laconico l'organizzatore Giuseppe Vacca. Questa è la prima foto di famiglia della sinistra arrivata al governo, della Fondazione culturale sopravvissuta alla cosa Due, riunita ad Orvieto per quella che Alfredo Reichlin ha definito la Cernobbio del riformismo italiano, prendendo a modello l'annuale convegno degli imprenditori. E ad ascoltare l'intellighentia riformista si ha la netta sensazione che non si aspettava di arrivare a Palazzo Chigi così presto. Quel folto gruppo di politici e teste d'uovo che mette insieme, per usare una definizione di Vacca, «le culture che vanno da La Malfa a Togliatti» non aveva messo nel conto il governo D'Alema, almeno non con questi tempi, e adesso si trova nella difficile condizione di chi deve passare dalla teoria alla pratica, di chi fino a ieri aveva l'abbi di Prodi e che d'ora in avanti non potrà più dare ad altri la colpa degli intoppi nell'azione di governo. Così tra un Reichlin che sottolinea «il bisogno di politica» e un Nicola Rossi che predica realismo, alla fine le uniche indicazioni concrete vengono da chi ha già fatto la sua esperienza di governo (Amato), o chi è chiamato a farla in prima persona adesso. Giuliano Amato proietta la nuova frontiera del riformismo sull'esigenza di governare la globalizzazione, di creare una cultura politica adatta e istituzioni internazionali all'altezza. D'Alema lo segue a ruota andando ancora più in là e identifica il riformismo con un'idea molto avanzata dell'Europa. Un soggetto capace di avere un ruolo mondiale come gli Stati Uniti, che non ha solo istituzioni intergovernative ma riesce ad esprimere una sua pohtica estera e della sicurezza. Il nuovo Premier getta nel cestino vecchi tabù della sinistra, come il pacifismo di maniera, come quello scudo che sono le decisioni all'unanimità nel consiglio di sicurezza dell'Orni. «Non si può riconoscere un diritto di veto ad un Paese - sostiene - altrimenti ci si condanna all'immobilità». «C'è bisogno - ripete - di un esercito all'altezza, un nuovo modello di difesa compatibile con le esigenze di politica estera». Fin qui sulla politica estera. Sul resto D'Alema conferma il principio che senza una pohtica di rigore e di risanamento non c'è neppure una politica di sviluppo, chiede il rinnovo dell'accordo del 93. un nuovo patto sul lavoro che coinvolga non solo il sindacato e la Confindustria, ma anche le piccole e medie imprese, il terzo settore (servizi, cooperative, volontariato). Un'idea che lascia un po' perplesso un Cofferati che per dimostrare l'autonomia del sindacato precisa: «Non esiste un'ipotesi di concertazione allargata. La concertazione ha per definizione ruoli e compiti distinti. Se c'è il coinvolgimento di altri soggetti questo è utile». Questi sono i problemi che riguardano il primo governo a guida post-comunista. Alla vecchia polemica che contrappone l'Ulivo ai partiti, invece, il neopremier dedica solo poche righe: ormai anche per lui la politica si fa dal governo. E, infine, forse pensando a Gamberale, il presidente del Consiglio rispolvera un suo vecchio cavallo di battaglia, la critica al capitalismo italiano per come interpreta le privatizzazioni: «Bisogna allargare il mercato. C'è il rischio che i processi di privatizzazione finiscano nell'ambito di un'aristocrazia ristretta. Si dice che chi sbaglia paga: in Italia questo vale per tutti meno che per gli imprenditori. Abbiamo bisogno di un maggior numero di capitalisti non del solito pacchetto, di capitalisti che abbiano più coraggio. Le privatizzazioni non servono a consolidare vecchie posizioni, ma a crearne di nuove». Questo è il D'Alema di governo. Qualcosa di più concreto rispetto ai discorsi che si sentono in quella sala. Lì, per il momento, le affascinanti riflessioni sul futuro si mescolano alle incombenze del presente. Andrea Manzella disegna la nuova Costituzione euroepa ma, nel contempo, si precipita a dire che questa storia di un cambio al ministero del Tesoro a giugno tra Ciampi e Amato «è una balla, solo una battuta scherzosa tra i due a tavola». Mentre il presidente dell'Inps Gianni Billia, con un dito di cerone addosso, difende la classe dirigente di sempre, quella che anche D'Alema ha avuto in eredità: «A chi daranno la Telecom? Sono inciampati. Secondo me questa storia di affidare 0 tutto a dei cercatori di teste per metterci magari un trentacinquenne è un modo per sottrarsi alle proprie responsabilità. Dovrebbero, invece, scegliere tra gli uomini che ci sono». Augusto Minzolìni «Il vero riformismo è fare un'Europa che sia pari agli Usa» A sinistra il premier D'Alema e, qui sopra, il leader della Cgil Sergio Cofferati