Riforme, al via ancora tutti divisi
Riforme, al via ancora tutti divisi Le spaccature parallele nel centrodestra e nel centrosinistra inceppano l'accordo Riforme, al via ancora tutti divisi Marini: su questo tema non contano le appartenenze alla maggioranza ROMA. Franco Marini, segretario del Ppi, avverte D'Alema che la riforma elettorale se la voterà senza vincoli di maggioranza. «Non accettiamo pregiudiziali da nessuno. Noi rivendichiamo il diritto di confrontarci con tutte le forze in Parlamento. Qui non è questione di maggioranza e minoranza». Questo significa che Marini, se ci riuscirà, cercherà di far passare un sistema elettorale a doppio turno di coalizione (e non di collegio) anche con i voti del Polo. 0 della parte che sarà d'accordo. Perché non è solo la maggioranza di governo ad essere divisa sul tipo di riforma elettorale da scegliere per evitare il referendum. I partiti del Polo stanno andando, anche loro, ognuno per conto suo. Dal che è facile prevedere che questa legge controversa rischia di essere solo oggetto di dibattito animato. Un modo di occupare il tempo e di contendersi qualche citazione sui giornali, mentre si è intenti a votare la legge finanziaria. La Corte Costituzionale dirà il 12 gennaio se il referendum contro la quota proporzionale è ammissibile. Il Parlamento avrebbe, quindi, pochissimo tempo per approvare una nuova legge, ammesso che si trovasse l'accordo che finora non c'è. Perché sono diversi gli interessi all'interno dei due principali schieramenti e perché ci sono due diffidenze che si scontrano. «Berlusconi teme che D'Alema voglia riawiare le riforme sulla scia della legge elettorale, per costringerlo a spargersi il capo di cenere spiega Francesco D'Onofrio, del Ccd - D'Alema teme che Berlusconi voglia usare la legge elettorale come catapulta per una campagna popolare tesa a delegittimare il governo per trasformismo». In queste condizioni di grande vaghezza, il «dibattito» imperversa ugualmente, anche se è cosa da specialisti e materia ostica per il normale cittadino. C'è un criterio di base da tenere a mente per orientarsi nel labirinto delle formule che i vari partiti vanno sfornando. Ed è la distinzione tra sistema elettorale ad uno o due turni. L'attuale è ad un turno maggioritario ed ha dato un potere straordinario ai piccolissimi, i partitini che dispongono di 1000 voti in un collegio, che hanno ricattato i grandi per ottenere seggi. Quindi, i partiti minori preferirebbero il turno unico. Lo preferirebbe al doppio turno anche An di Fini, per una ragione diversa. Per vincere al secondo turno bisogna presentare candidati ca- paci di raccogliere voti al centro. Le ali estreme (An e Rifondazione comunista) sarebbero, di conseguenza, penalizzate. A vantaggio di Forza Italia da una parte, e dei Ds e dei popolari dall'altra. In fin dei conti, Gianfranco Fini teme che una legge elettorale concordata ora tra D'Alema e Berlusconi possa danneggiarlo. Così punta direttamente al referendum come male minore. Ieri Adolfo Urso, portavoce di An, ha presentato, a beneficio di Berlusconi, una proposta di legge che, di fatto, servirebbe ad anticipare gli effetti del referendum di Segni, se dovesse prevalere. Cancellata la lista proporzionale per la Camera, ripartizione della quota del 25 per cento nei collegi uninominali come per il Senato e abolizione dello scorporo. Ma guai a chi pensasse di tornare al sistema proporzionale, avvisa An. Per Forza Italia ha risposto a Fini l'on. Giuliano Urbani, che spiega che la proposta di Urso «riprodurrebbe l'esperienza negativa delle alleanze arlecchino» già sperimentata con la legge in vigore. E così il Polo non ha ancora una posizione comune a proposito di riforma elettorale, visto che gli interessi non sono comuni, e lo stesso avviene per la maggioranza di governo. Che ha i numeri per governare ma si frantuma di fronte alla chiacchierata riforma elettorale. Clemente Mastella, segretario della Udr, esorta gli alleati a trovare una posizione comune prima di andare al confronto con l'opposizione, proponendo un mix tra maggioritario e proporzionale. Ma pronto a ripiegare (dopo il referendum) sul sistema a doppio turno di collegio (sponsorizzato da D'Alema, e gradito a Ri e Lega). Intanto, Segni e Occhetto continuano a gridare ai partiti: «Giù le mani dal referendum che abbiamo lanciato». [a. rap.] An presenta un progetto «affine» al referendum Segni e Occhetto «Giù le mani» I due leader referendari Achille Occhetto e Mario Segni
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