LA RISCOSSA DI CLINTON di Enzo Bettiza
LA RISCOSSA DI CLINTON LA RISCOSSA DI CLINTON LE elezioni di cosiddetto «medio termine» per il Congresso, come quelle che si terranno martedì negli Stati Uniti, generalmente hanno un valore politico relativo: la competizione fra repubblicani e democratici si consuma intorno a questioni istituzionali, amministrative e fiscali d'interesse soprattutto locale. Questa volta, però, non sarà così. Stavolta dal voto non dipenderanno soltanto l'assetto della Camera dei rappresentanti e del Senato, il rinnovo dei Parlamenti statali e di 36 cariche di governatore degli Stati, ma anche la sorte personale di Bill Clinton. Dopo lo scandalo del Sexgate, l'elezione assumerà il carattere straordinario di un referendum sull'avvio o l'archiviazione della procedura d'impeachment nei confronti del presidente in carica. Sarà il momento culminante dell'ordalia in cui il partito repubblicano, il partito dell'impeachment, vorrebbe trascinare e affossare il grande inquisito messo alle corde da Kenneth Starr e da Monica Lewinsky. Nel frattempo le azioni di Clinton, che nonostante tutto hanno retto bene sul difficile mercato dell'opinione media americana, hanno spiccato un netto balzo in alto. Egli ha già vinto un importante referen dum internazionale affron tando di petto, con cocciuta determinazione e competente capacità operativa, le crisi del Kosovo e del Medio Oriente. Ha inoltre completato i due successi inducendo il proprio governo e i governi alleati, al vertice G7 di Londra, a conce dere al Fondo monetario 90 miliardi di dollari aggiuntivi per cicatrizzare le piaghe fi nanziarie dell'Asia, della Rus sia, e in particolare del Brasi le. Immediatamente Wall Street è salita alle stelle, mentre le ultime stime sul prodotto lordo degli Stati Uniti se gnalavano una crescita inat tesa del 3,3 per cento. Insomma le mosse interna zionali incisive e fruttuose de. presidente, sostenute da un'economia nazionale in ripresa, ne hanno fatto rimon tare di colpo l'immagine pub blica offuscata dagli spettri di Monica e di Starr. Ha bombardato diplomaticamente Milosevic inviando a Belgrado Richard Holbrooke, il più duro dei negoziatori americani, e obbligandolo sotto minaccia militare a ritirare dal Kosovo le truppe corazzate serbe. Ma il capolavoro in cui Clinton si è personalmente impegnato per 9 giorni di aspri negoziati, è stato l'accordo di Washington imposto il 23 ottobre a Netanyahu e ad Arafat: il più importante firmato tra il governo d'Israele e l'Autorità palestinese dopo quello di Oslo del settembre 1993. Quanto le ombre del Sexgate siano state lontane da tutto ciò lo hanno mostrato le parole con cui i principali partecipanti alla trattativa hanno voluto elogiare gli sforzi e la personalità delpresidente americano. Netanyahu: «Clinton si è mosso con l'abilità e il passo infaticabile di un guerriero della pace». Arafat: «Mi ha convinto a considerare il primo ministro israeliano come un partner degno di fiducia». Re Hussein: «Dai tempi di Eisenhower ho avuto modo di conoscere e rispettare molti presidenti americani; ma nessuno come Clinton mi ha dato l'impressione di dedicarsi con altrettanta decisione, lucidità e tolleranza all'arduo lavoro di mediazione che la grande politica impone ai grandi responsabili politici». Sarà ancora da vedere come le cose evolveranno sul terreno in Kosovo e nel Medio Oriente. Ma il dado è stato tratto. Milosevic si è piegato. Netanyahu e Arafat si sono alfine incontrati e parlati, e le autorità palestinesi stanno già dando la caccia ai terroristi islamici di Hamas. Qui, Clinton ha vinto a pieni punti il suo primo plebiscito. Non è escluso che gli elettori americani, ormai stanchi dei panni sporchi sventolati ai quattro venti dai repubblicani e dall'inquisitore Starr, possano fargli vincere con qualche punto più risicato anche il fatidico plebiscito nazionale di martedì. Enzo Bettiza
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