I BARBARI IN PIEMONTE

I BARBARI IN PIEMONTE IVREA I BARBARI IN PIEMONTE Come Celti, Goti e Longobardi entrarono insieme nell'era nuova PARLARE di presenze barbariche in Piemonte evoca probabilmente, per chi non sia specialista di queste cose, una visione apocalittica di massacri e distruzioni, di popolazioni abbrutite dal dominio barbarico e costrette in un orizzonte cupo e senza speranza. La realtà, come succede quasi sempre, è molto diversa; intanto perché gli stanziamenti dei barbari, sempre in piccoli nuclei destinati prima o poi a fondersi con la popolazione locale, avvennero suliurco di molte generazioni e non sempre con la violenza. Anzi l'insediamento più massiccio dalle nostre parti, in quella che era allora la Gallia Cisalpina, avvenne pacificamente, in seguito a una decisione amministrativa dell'Impero che autorizzò l'immigrazione di un gran numero di Sarmati: il nome di quei nomadi delle steppe vive ancor oggi in quello di Salmour. Certo non mancarono anche incursioni catastrofiche, accompagnate da incendi e massacri, soprattutto col ripetuto passaggio dei Goti nei primi, tragici anni del V secolo, e poi con l'invasione longobarda del 568: in quei momenti, le popolazioni piemontesi vissero angosce simili a quelle del terribile biennio 1913-15, e senza dubbio reagirono allo stesso modo: continuando a lavorare, e aspettando tempi migliori. Il paragone con gli anni della seconda guerra mondiale non sembri improprio; e non solo perché i barbari, in entrambi i casi, venivano dal Nord e parlavano lingue teutoniche. E' indubbio che esistono epoche maledette, segnate da un incalzare di tragedie, e in cui gli uomini di cultura tendono più del solito al pessimismo: anche la prima metà del XX secolo è fra queste, anzi retrospettivamente risulta di gran lunga più terrificante che non l'età delle invasioni barbariche; ma la nostra esperienza diretta ci insegna che anche in queste epoche la vita continua e cerca appena possibile di riguadagnare una situazione di normalità. Ecco, allora: per forse dodici genera - zioni di abitanti della Cisalpina, la normalità volle dire, anche, abituarsi a convivere con gruppi di stranieri che di tanto in tanto arrivavano sul posto per restarci, per lo più in modo relativamente pacifico, con donne e bambini al seguito. Ai Celti ormai romanizzati che popolavano la provincia, i nuovi arrivati in genere non piacquero per niente; ma bisognava far buon viso a cattivo gioco e adattarsi alla convivenza, e del resto lo sforzo maggiore lo fecero i Germani. Arrivati in Italia con una moltitudine di meravigliose divinità, Odino e Thor e Freya, se ne sbarazzarono in gran fretta per farsi cristiani, dal momento che i locali lo erano tutti da un pezzo, e a quei barbari facilmente impressionabili i preti cristiani facevano molta soggezione. Quando si accorsero che senza parlare latino non si tirava avanti, smisero di parlare goto 0 longobardo, e cominciarono a parlare latino anch'essi; benché poi, da queste parti, da quel latino plebeo dovesse venir fuori il piemontese. Rimase loro la soddisfazione di comandare, perché nei nuovi regni, edificati sulle macerie dell'amministrazione imperiale, Goti o Longobardi erano pur sempre la casta dominante; ma non fecero in tempo ad assaporarla troppo a lungo. Un bel giorno, infatti, si scoprì che oramai era impossibile, e anche inutile, distinguere con certezza chi fosse un Romano e chi un Germano, e che i matrimoni misti avevano fatto saltare il progetto di segregazione razziale coltivato inizialmente dai re barbari. Allora, in fondo, non era capitato niente? Naturalmente, qualcosa era capitato; era finita l'Antichità, un intero sistema amministrativo, economico, culturale si era lentamente disgregato; e siccome, nel frattempo, la gente aveva continuato ostinatamente a lavorare e a far figli, a credere in Dio e a litigare con i vicini, a cercare di arricchirsi e qualche volta anche riuscirci, il mondo non si era fermato, e dalla disgregazione dell'universo antico stava uscendo qualcosa di nuovo, che non sapeva ancora di chiamarsi Medioevo. E in quest'angolo di mondo nessuno, a parte 1 dotti, si ricordava più della Gallia Cisalpina; se interrogati, i suoi abitanti avrebbero detto che abitavano il Paese dei Longobardi, la Lombardia; e a voler essere proprio precisi, la parte più in fondo, quella ai piedi dei monti: Pedemontium... Alessandro Barbero Archeologi canavesani aliamo a un antico masso inciso (pera enrica) in basso a sinistra: Gustavo Mola, relatore al convegno sui confini del Canavese; a destra: la Torre di Settimo A Ivrea, venerdì 30 ottobre, alle ore 21 nella sala Santa Marta, verrà presentato il libro «Le chiuse, presenze barbariche tra Ivrea e Vercelli», realizzato dal Gruppo Archeologico Canavesano (editore Cossavella). Interverranno gli autori ivo Ferrerò, Adele Ventosi, Teresa Skurzak; saranno proiettate diapositive di Nino Vachino. Ingresso libero.

Luoghi citati: Italia, Ivrea, Lombardia, Piemonte, Salmour, Vercelli