OGGETTI SOGGETTI

OGGETTI SOGGETTI OGGETTI SOGGETTI Auto, dischi, tv, telefoni, lavatrici: il nostro rapporto quotidiano con le «cose» di casa tra tecnologia e retorica ERCHE' il frigorifero è elettrico e non a gas? Perché la televisione è elettronica e non meccanica? Perché il contachilometri delle automobili è analogico e non digitale? Ci sono mille domande che vorremmo porre agli oggetti che usiamo ogni giorno. Fino all'altro ieri a queste domande avremmo risposto in modo immediato e semplice: la tecnologia che caratterizza un oggetto d'uso comune (televisione, telefono, automobile, lavatrice, orologio, computer ecc.) dipende dal prevalere di una tecnica sull'altra, dal fatto che «questa» tecnica si sia rivelata migliore di un'altra. Errore. Non sempre le cose sono andate così. Solo per restare al campo dei mezzi di comunicazione di massa, oggi protagonisti della scena, è interessante leggere la storia che ne traccia Patrice Flichy in Storia della comunicazione moderna (Baskerville, pp. 299, L. 35.000), dove spiega come e perché una tecnologia abbia prevalso sull'altra, perché nella storia delle telecomunicazioni ì cambiamenti tecnici siano rari e soprattutto come mai «una volta abbandonata una via tecnologica, il processo cumulativo del progresso tecnico spesso rende molto difficile il recupero dell'altra via alternativa» (come è successo all'automobile elettrica). Marc Bloch, il grande storico francese, a proposito delle invenzioni medievali ci aveva già avvisati: «L'invenzione non è tutto. E' necessario che la collettività la accetti e la propaghi. Più che mai, quindi, la tecnica cessa di essere la padrona del proprio destino», pensiero ripreso e rinnovato da Braudel negli Anni Settanta: «Un'innovazione non vale che in funzione della spinta sociale che la sostiene e la impone» (la citazione è in un altro utile libro di Flichy, L'innovazione tecnica, Feltrinelli, pp. 255, L. 40.000). Flichy cita il caso del telefono, dell'automobile e della fotografia, strumenti che all'inizio la borghesia non desidera maneggiare liberamente (il rapporto con la tecnica era mediato dalla telefonista e dall'autista), mentre il grammofono è fin dall'inizio uno strumento di massa progettato come tale. Come ricorda Michela Nacci nell'introduall'interessante volume collettivo Oggetti d'uso quotidiano (contiene un saggio introduttivo di Bruno Latour e una postfazione di Tomàs Maldonado), oggi gli oggetti tecnici vengono sempre più interpretati come «costruzioni sociali» legati sì alla tecnica e alle sue evoluzioni, ma anche alla stessa retorica che attribuisce loro un significato (i «discorsi» sugli oggetti sono la loro prima «forma»). Se fossero affidati solo al potere economico, probabilmente le lavatrici, le luci al neon, i cruscotti delle automobili, gli orologi sarebbero infatti diversi da quelli che sono. Nel libro orchestrato dalla Nacci si passano in rassegna alcuni interessanti problemi di evoluzione tecnica: quello dell'illuminazione al neon o del contatore elettrico (a questo proposito, l'autore del saggio, Renato Giannetti, ci spiega come anche oggi questo strumento di misurazione dei consumi sia tutt'altro che «oggettivo», cosa che per altro vale anche per il contatore del telefono, assente dalle case e che media due parametri divergenti: distanza e durata della conversazione), o quello della lavatrice (l'estensore del saggio, Quynh Delaunay, autore di un intero libro in francese sull'argomento, salta tuttavia a pie pari le origini americane di questa macchina) o la radio, di cui la Nacci stessa ripercorre la lunga strada, dalla repulsa iniziale degli intellettuali all'accettazione entusiastica e creativa. I saggi più interessanti sono però quelli sul cruscotto delle automobili, che tratta il tema dell'inter/accia - una delle parole-chiave della contemporaneità - e il rapporto tra l'oggetto e l'ambiente (Gian Carlo Cainarca ci fa vedere come la storia lingustica e quella tecnica del cruscotto s'intersechino in modo interessante) e il saggio sul videotelefono, invenzione- che-non-c'è, scritto da Peppino Ortoleva. Le osservazioni più interessanti nascono infatti dai ragionamenti sui perché una certa «invenzione» non sia nata pur avendone tutte le possibilità (molti avranno visto la pubblicità dei «videocitofoni intelligenti» che appare e scompare a intervalli quasi regolari sui muri delle nostre città). All'inizio del secolo* dice Ortoleva, la comunicazione audiovisiva mediata dalla tecnologia era un'area magmatica (e la stessa cosa vale anche oggi: ci affrettiamo verso il multimediale, come se la sovrapposizione di scritto, audio e visivo fosse una cosa nuovissima e originale, mentre i futurologi già si affrettano a prevedere l'unione di televisione e computer). La radio era allora l'unico mezzo di comunicazione affermato con piena sicurezza, e così il telefono (sono tutti e due strumenti, dice Flichy, che spostano progressivamente l'asse dalla comunicazione famigliare alla comunicazione individuale, e questo è il fattore sociale che s'impone insieme a quello tecnologico); negli Anni Venti le attese erano: da un lato, la radio con il cinema, cioè la televisione, come mezzo di comunicazione di massa per eccellenza; dall'altro, il telefono che si vede, come mezzo estremo di comunicazione interpersonale. Ha vinto la «radiotelevisione» - questo il suo nome originario -, per quanto la lotta interna tra tecnologie sia stata complessa, mentre il videotelefono non debuttò mai come mezzo di massa. Ortoleva sottolinea il fatto che il videotelefono non è una tecnologia ma un sistema tecnico; tuttavia, come sa chi ha assistito a una video-conferenza, esso presenta problemi tecnici molto complicati (chi ha detto che in Internet l'uso della telecamera personale per i colloqui riuscirà ad imporsi? Se siamo in grado di sopportare il basso livello fonico del telefono rapportato a quello di un CD -, ci infastidiamo subito di fronte alla risoluzione delle immagini trasmesse via cavo telefonico). Come si vede il campo degli oggetti è in evoluzione (all'inizio del suo libro la Nacci accenna ai telefonini, ai forni a microonde, ai CD portatili, senza purtroppo entrare nel merito). Forse bisognerebbe cominciare a meditare più a fondo sugli oggetti e sul nostro rapporto con loro (avete mai provato a disfarvi di un oggetto tecnologico da lungo tempo presente in casa vostra?). Per cominciare a farlo è utile mettere mano a un libretto pubblicato di recente da un sociologo e antropologo del quotidiano, Franco La Cecia, e da un artista visivo, Luca Vitone: Non è cosa e Non siamo mai soli (pp. 125, L. 16.000). E' dedicato alla vita affettiva degli oggetti, cioè al nostro rapporto tribale con le «cose». Nonostante molti secoli di tecnologia siamo ancora dei «primitivi». Marco Belpoliti L'invenzione non basta, bisogna che la gente la accetti e la propaghi. Esempio: il videotelefono esiste da tempo ma non riesce a far breccia Perché il frigorifero è elettrico e non a gas? Perché la televisione è elettronica e non meccanica? Perché il contachilometri delle automobili è analogico e non digitale? Ci sono mille domande che vorremmo porre agli oggetti che usiamo ogni giorno. Alcune risposte nei saggi di Patrice Flichy e nella raccolta «Oggetti d'uso quotidiano» a cura di Michela Nacci OGGETTI D'USO QUOTIDIANO a cura di Michela Nacci Marsilio pp. 249 L. 42.000 L'invenzione non basta, bisogna che la gente la accetti e la propaghi. Esempio: il videotelefono esiste da tempo ma non riesce a far breccia ERCHE' il frigorifero è elettrico è elettronica e non meccanica?automobili è analogico e non digvorremmo porre agli oggetti chetro ieri a queste domande avreme semplice: la tecnologia che carne (televisione, telefono, automoter ecc.) dipende dal prevalere dche «questa» tecnica si sia riveNon sempre le cose sono andatdei mezzi di comunicazione di mna, è interessante leggere la storStoria della comunicazione m35.000), dove spiega come e percsull'altra, perché nella storia delle telecomunicazioni ì cambiamenti tecnici siano rari e soprattutto come mai «una volta abbandonata una via tecnologica, il processo cumulativo del progresso tecnico spesso rende molto difficile il recupero dell'altra via alternativa» (come è successo all'automobile elettrica). Marc Bloch, il grande storico francese, a proposito delle invenzioni medievali ci aveva già avvisati: «L'invenzione non è tutto. E' necessario che la collettività la accetti e la propaghi. Più che mai, quindi, la tecnica cessa di essere la padrona del proprio destino», pensiero ripreso e rinnovato da Braudel negli Anni Settanta: «Un'innovazione non vale che in funzione della spinta sociale che la sostiene e la impone» (la citazione è in un altro utile libro di Flichy, L'innovazione tecnica, Feltrinelli, pp. 255, L. 40.000). Flichy cita il caso del telefono, dell'automobile e della fotografia, strumenti che all'inizio la borghesia non desidera maneggiare liberamente (il rapporto con la tecnica era mediato dalla telefonista e dall'autista), mentre il grammofono è fin dall'inizio uno strumento di massa progettato come tale. Come ricorda Michela Nacci nell'introduall'interessante volume collettivo Oggetti d'uso quotidiano OGGETTI D'USO QUOTIDIANO a cura di Michela Nacci Marsilio pp. 249 L. 42.000