REA: IL FUOCO DELLA MADRE di Lorenzo Mondo

REA: IL FUOCO DELLA MADRE REA: IL FUOCO DELLA MADRE Un'isola tra fughe e passioni I Ermanno Rea avevo letto, nel '95, Mistero napoletano, un libro-inchiesta che esplorava l'intreccio di dogmatismo e bigottismo, di pubbliche virtù e private crudeltà all'interno di una federazione comunista Anni Cinquanta. Un libro partecipe e stilisticamente accorto che suscitava, in chi non aveva famigliarità con quel mondo separato, una vaga impressione: di leggere un buon romanzo, anche se «sprecato» rispetto al suo oggetto. Ed ecco che, puntualmente, il romanzo arriva, questa volta esplicito, e una certa sproporzione, per eccesso, riguarda semmai il suo nucleo tematico più appariscente, latamente ideologico. Cercherò di spiegarmi leggendo, nei suoi tratti essenziali, Fuochi fiammanti a unTiora di notte. FUOCHI FIAMMANTI A UN'HORA DI NOTTE Ermanno Rea Rizzo// pp. 312 L. 29.000 Martino vive a Parigi dove fa lo scultore, frequenta Ottavio e la figlia Mélanie, attratti dal suo ombroso spirito di libertà. Presto sapremo che gli pesa addosso il rapporto non risolto con la madre. Questa bella donna altera ha abbandonato a suo tempo il marito e il figlioletto, ha partecipato alle traversie di un collettivo femminista, ha avuto una storia con un brigatista, si è persa in altre esperienze presumibilmente eccentriche. Una cosa è chiara in lei: la condizione di madre è l'espressione ultima di un asservimento femminile che dura dai primordi. Il rifiuto del complesso di Penelope si estende a Martino, ogni insorgenza affettiva nei suoi confronti viene centellinata e inesorabilmente soffocata. E' nemica argomentante del maschio come le donne ferine del mito mediterraneo. Un giorno però questa donna incredibile sparisce del tutto e il marito, i parenti hanno la strana idea di spingere il figlio a cercarla. Martino approda così, nel suo girovagare, su un'isola vulcanica, poco più di uno scoglio. Pochi gli abitanti, senza commercio con il mondo, destinati a una estinzione ravvivata da estremi bagliori. Spera di incontrare la madre in un falansterio di donne, adunate in riti misteriosofici sotto la luna. In realtà, piccandosi di indagare come il diletto Nero Wolfe, si applica soprattutto alla scoperta dell'isola, che lo cattura con i suoi personaggi, il paesaggio, la storia. Francesco e Albarossa, presi da una passione irrefrenabile, tellurica, meditano di fuggire dalle rispettive famiglie e responsabilità. Il Fiocco conserva la memoria profonda dell'isola, dei contadini in lotta con i fichidindia invasivi, dei titani che hanno scavato strade e muri nel basalto. CiDa emana sortilegi erotici e materni, simile a una Circe senza illusioni. Oltre ai nativi, ci sono un vulcanologo ridotto a misurare gli scuotimenti del proprio cuore, lo psicoanalista occupato a schedare la comunità, a registrare il suo congedo irrevocabile dal passato. Sono figure, specialmente quelle fenuninih, delineate con plasticità, con adesione cordiale e trepida. Ma è soprattutto l'isola con i fantasmatici profili di lava, i crepacci, gli anfiteatri rocciosi a stregare il giovane. Quasi insensibilmente, e forse abusivamente, viene a confondersi con la figura materna, è una Madre ancestrale radicata nel sangue e nell'anima, con la quale soltanto bisogna fare i conti (e l'isola, a ben vedere, fa storia a sé, ispira le pagine davvero belle del libro). Il disincanto avviene con la morte repentina di Fiocco, il vanificarsi dell'ultima magia di Cilla, il fallimento dei due amanti riconsegnati alla norma. Agli occhi di Martino l'amico Francesco incarnava l'antica vedetta che annunciava l'arrivo dei barbareschi, invasati di stragi e razzie. Ma appare ormai incapace di alimentare fuochi fiammanti nella notte: fuochi di passione, di au dacia, di leggenda. Quelli stessi che Martino ha acceso a vegliare sulle proprie paure, sul suo desiderio di nascondiglio e di nic chia. Più forte della voce dell'an tica madre, della sua moderna nevrotica proiezione, della sua solitudine, sarà il richiamo di Mélanie. Una donna che cerca di vivere con naturalezza, con fidu ciosa espansività. Il romanzo si chiude con le perplessità di Otta vio, il padre della ragazza. Come andrà a finire, questa volta, «fra Adamo ed Eva?». Perplessità legittima, beninteso, ma che nulla deve ai precedenti bizzarri, alle servitù famigliari di Martino. Lorenzo Mondo FUOCHI FIAMMANTI A UN'HORA DI NOTTE Ermanno Rea Rizzo// pp. 312 L. 29.000

Persone citate: Ermanno Rea, Fiocco, Fuochi, Penelope, Wolfe

Luoghi citati: Parigi