CARO SIMENON, CARO FELLINI UN CARTEGGIO DA SOVRANI di Lietta Tornabuoni
CARO SIMENON, CARO FELLINI UN CARTEGGIO DA SOVRANI i: «il CU CARO SIMENON, CARO FELLINI UN CARTEGGIO DA SOVRANI Dalla «Dolce vita» all'89, una lunga ammirazione EDERICO Fellini e Georges Simenon non erano esattamente amici. Si vedevano di rado, e gli incontri sembravano segnati da un'ombra di cerimoniosità, d'imbarazzo: tra le loro lettere, ora pubblicate da Adelphi in «Carissimo Simenon Mon cher Fellini», sono molte quelle che programmano e rimpiangono visite mai avvenute, non per caso rinviate o cancellate. Si sono scritti in quasi trent'anni, dal 1960 de «La dolce vita» al 1989 della morte di Simenon, circa quarantacinque lettere, biglietti o telegrammi, ma tra loro esisteva una parità da sovrani piuttosto che un affetto o un'intimità: comunicando in francese hanno sempre usato quel «vous» che nella traduzione italiana diventa volubilmente tu, lei, voi. A unirli davvero era la grande, sincera, reciproca ammirazione, la tendenza alla depressione e la passioneossessione delle donne. «Carissimo, leggendario Simenon», «Caro, gigantesco Fellini» sono tra gli appellativi, e nella corrispondenza si moltiplicano altissimi apprezzamenti. Fellini ammira di Simenon «il talento senza limiti, la sovrumana possibilità di disciplina nel lavoro che creano soggezione e meraviglia», la «sovrumana %tfflttfe..JiLgtrA mo che lo rende «maestro di vita e di creatività», «sempre più esatto, lucido, essenziale, sempre più vero nel creare interminabilmente capolavori uno dopo l'altro»; confida che leggendone i romanzi «mi esalto, mi commuovo, mi sento addosso una grande allegria». Simenon loda di Fellini «il totale affrancamento da ogni vincolo, tabù, regola», «la diversità e unità del genio che si rinnova continuamente e tuttavia rimane sempre lo stesso»; prevede «sento già che "Satyricon" sarà un'esperienza esaltante». Dice Simenon: «Fellini appartiene alla razza dei Goya, dei Van Gogh, dei Baudelaire...». Dice Fellini: «Simenon è un po' come Chandler o Dashiell Hammett, una specie di padre tutelare, di ispiratore...». Un personaggio felliniano, Katzone della «Città delle donne», s'ispira forse alla iperattività sessuale di Simenon, che sbalordiva e incuriosiva Fellini e che lo scrittore quantificò proprio in un'intervista al regista pubblicata da «L'Express» e inclusa in questo libro: «Dall'età di tredici anni e mezzo ho avuto 10.000 donneIl mio non era assolutamente un vizio. Non ho perversioni sessuali, avevo solo bisogno di comunicare. E anche le 8000 prostitute che vanno annoverate fra le 10.000 erano degli esseri umani, esseri umani femmina. Avrei voluto conoscere tutte le femmine». I corrispondenti non parlano mai di donne ma si riconoscono altre affinità, il comune interesse per la psicoanalisi, il Un personaggio felliniano, Katzone della «Città delle donne», s'ispira forse alla iperattività sessuale di Simenon, che sbalordiva e incuriosiva Fellini e che lo scrittore quantificò proprio in un'intervista al regista pubblicata da «L'Express» e inclusa in questo libro: «Dall'età di tredici anni e mezzo ho avuto 10.000 donne. Il mio non era assolutamente un vizio. Non ho perversioni sessuali, avevo solo bisogno di comunicare. E anche le 8000 prostitute che vanno annoverate fra le 10.000 erano degli esseri umani, esseri umani femmina. Avrei voluto conoscere tutte le femmine». I corrispondenti non parlano mai di donne ma si riconoscono altre affinità, il comune interesse per la psicoanalisi, il comune editore svizzero Daniel Keel, il legame con la fatica creativa: «Noi due abbiamo le stesse ossessioni e lo stesso bisogno di immergerci in un nuovo lavoro». Scrive Simenon: «Tra noi esiste un rapporto che forse enfatizzo un po', ma nel quale credo sinceramente. In due diverse forme d'arte noi perseguiamo lo stesso fine: una più profonda conoscenza dell'uomo, per non dire dell'umanità. Ed entrambi lo facciamo in un modo che si potrebbe definire anti-intellettuale. Come me, lei è un istintivo, e quel che ha involontariamente registrato sin dall'infanzia, quel che ancora oggi continua inconsciamente a registrare, lo restituisce con una forza centuplicata che fa delle sue opere delle opere uni¬ versali. La stessa cosa, anche se in piccolo, succede a me...». Scrive Fellini: «Quando uno lavora, si sente d'improvviso sollevato dalle responsabilità... Tutti lo rispettano. Non è più obbligato a dare amicizia, a dare amore, a dare soldi allo Stato e nemmeno a tagliarsi i capelli o comprarsi un paio di scarpe. Che alibi, il lavoro! Ma non appena il lavoro finisce tutto ci piomba di nuovo addosso, e allora credo che ci venga subito voglia di ritrovare questa condizione di irresponsabilità...». Le lettere non contengono pettegolezzi né indiscrezioni, non offrono speciali rivelazioni, registrano scambi professionali: presidente della giuria al festival di Cannes, Simenon si batté vittoriosamente perché «La dolce vita» venisse premiato all'unanimità con la Palma d'oro; Fellini contribuì molto a quel passaggio di Simenon dalla casa editrice Mondadori alla Adelphi che accrebbe il prestigio letterario dello scrittore in Italia. Tra i due corrispondenti, il più sincero risulta il Gran Bugiardo. Se Simenon scrive dell'America o di Jean Benoir, Fellini parla dei suoi film, dei dubbi creativi, del tormento dell'insonnia, del dispiacere di sentirsi invaso, inadeguato o espropriato: «Pur facendo da sempre un mestiere nel quale sono obbligato a prendere mille decisioni al giorno, mi pare di non aver mai deciso nulla, nella mia vita...». Lietta Tornabuoni Lettere, biglietti, telegrammi li univa la tendenza alla depressione, la passione-ossessione delle donne e l'interesse per la psicoanalisi CARISSIMO SIMENON MON CHER FELLINI A cura di Claude Gauteur e Siliva Sager Trad. Emanuela Muratori Adelphi pp. 140. L 14.000
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