L'EUROPA ALLA RICERCA DI CANDIDE di Barbara Spinelli

L'EUROPA ALLA RICERCA DI CANDIDE DALLA PRIMA PAGINA L'EUROPA ALLA RICERCA DI CANDIDE cratiche in Europa. Proprio perché hanno un passato fortemente ideologico, i nuovi politici di sinistra come Blair o Jospin, Lafontaine o D'Alema, hanno un fiuto particolare per le patologie diaboliche delle illusioni utopistiche. Questo speciale diavolo lo conoscono, per averlo in altri tempi servito o comunque incrociato. Ne conoscono le lusinghe, le comodità mentali, le menzogne, infine le cadute. Sono stati loro a intuire che il neoliberismo in Occidente era qualcosa di più che un metodo appropriato per risanare i deficit pubblici, qualcosa di più che una ricetta per laicizzare l'economia emancipandola dalle eccessive tutele della politica. Che era divenuto una vera e propria ideologia d'avanguardia: con i suoi dogmi, le sue inoppugnabili ortodossie, i suoi sistematici appelli alle leggi naturali, le sue pretese all'infallibilità. La vittoria dei socialismi è la prima rivolta della politica contro le sicure certezze teleologiche del capitalismo occidentale, quale si è sviluppato in concomitanza con la fine della guerra fredda. Ancora non è chiaro il volto che assumerà tale rivolta, nei vari Paesi: se avrà le fattezze di una regressione ideologica, di una fiamma illusoria, o di nuove forme di chiusura nazionale. Se faciliterà una Unione più politica fra europei, o indebolirà le forme che l'Unione fin qui si è data. Chiaro sembra essere invece lo scenario, in mezzo al quale ci troviamo da qualche tempo. Ecco l'Europa alle prese con le filosofie neoliberistc di Pangloss, come nell'apologo di Voltaire. Pangloss insegna la metafisico-teologo-cosmo-nigologia, e la sua dottrina è evidente: tutto va bene, nel migliore dei mondi possibili; tutto è ingranato necessariamente e si dirige verso il meglio. Possono sopravvenire terremoti o guerre o disgrazie individuali, i politici possono perdere credibilità e i disoccupati possono aumentare ancor più: poco importa, visto che il fine è buono. Tutte queste disgrazie sono indispensabili - decreta Pangloss - «e succedono per il bene pubblico: in modo che quante più disgrazie individuali esistono, tanto più tutto è bene». Questa è la grande illusione in cui si sono cullati gli ideologhi del liberismo economico, prima di naufragare sugli scogli dell'Asia o della Russia. Dal che si vede come le illusioni siano tutt'altro che perite, e abbiano un grande avvenire di fronte a sé. Il neoliberismo è una delle ultime illusioni del secolo, e ha già fatto non pochi danni. Più ancora che a una chiesa, l'illusione liberista somiglia per molti versi all'illusione bolscevica. Vi si scorge la stessa indifferenza per quel che accade nel mondo dei fatti reali, lo stesso profondo disprezzo per la gente ordinaria, la stessa disattenzione per i disastri che si preparano, la stessa visione teleologica della storia con l'accento messo sull'ineluttabile fine: fme escatologica che diventa infinitamente più importante del mezzo, del movimento, del cammino percorso. Apparentemente ostili a qualsiasi idea di pianificazione economica, i Pangloss neoliberali hanno pur tuttavia in mente un loro esoterico Piano: il Piano che inevitabilmente guarirà le nazioni, correggendole o castigandole. E' perché coltivano questo piano lineare di salvezza che i neoliberisti non hanno visto quel che stava maturando, nei singoli Paesi asiatici e poi in Russia. L'ottimismo li guidava, e l'ottimismo li rese ciechi alle avvisaglie che pure non mancavano. L'Asia restava ai loro occhi l'Eldorado della crescita e dell'economia mondializzata, mentre già quelle terre tremavano. Poche settimane prima del collasso, il Fondo Monetario preannunciava tassi eccezionali di crescita in Indonesia, pari all'8 per cento, e tassi analoghi nelle restanti nazioni d'Oriente. Le economie di questa regione venivano elogiate fino alla vigilia del crack. Erano i tempi in cui si vagheggiava un capitalismo del tutto sconnesso dagli Stati, dalla politica, dalla democrazia di tipo occidentale. Poco meno di un anno dopo crolla anche la Russia, dove la filosofia panglossiana si era più virtuosamente esercitata. Ed è proprio qui che il neoliberismo diventa ideologia, illusione utopistica che non bada né alla realtà, né alle storie delle nazioni, né a quel che si muove nei loro bassifondi. Si ricorderà l'entusiasmo di tanti neoliberisti per l'ascesa mafiosa delle nomenclature post comuniste. Si ricorderanno le leggende sul ladro post sovietico che un giorno diverrà ottimo capitalista: leggende ri¬ petute per anni da giornali come YEconomist, o WaU Street Journal. Non siamo molto lontani dalla fiaba dell'Uomo Nuovo, che il comunismo prometteva di edificare. Si ricorderanno gli ottimistici piani di salvataggio, che i responsabili finanziari d'Occidente avevano immaginato per la Russia: importante era versare soldi, ininterrottamente, senza badare all'uso che ne veniva fatto. Importante era la nascita di forme sia pur primitive, illegali, di capitalismo: forme che anche l'Occidente aveva peraltro conosciuto in passato, e dalle quali si era liberato in seguito a lotte lente, lunghe. Così, guardandosi allo specchio e senza mai vedere veramente quel che avevano di fronte, i neoliberisti si sono rivolti alla Russia, diseducata da 75 anni di comunismo. Non hanno visto l'erosione di ogni regola, di ogni legge. Non hanno visto l'estendersi di nomenclature post e neo comuniste sempre più criminali. Hanno fatto attenzione solo al numero delle privatizzazioni, all'emancipazione formale dell'economia dallo Stato, e non si sono preoccupati quando è apparso chiaro che non esisteva praticamente più uno Stato funzionante in Russia, né una classe di politici legittimati a imporre sacrifici e rigore alla nazione. Il politologo Anatol Lieven parla di vera e propria «bolscevizzazione del discorso capitalista rivoluzionario»: rivoluzionario perché pronto a sacrificare tutto in nome del finale «progresso» (Prospect, ottobre '98). Nelle sue dogmatiche certezze, l'ideologia neoliberista ha perso perfino la memoria della propria storia. Ha dimenticato che il capitabsmo fu sì selvaggio in Europa, ma che al contempo esistevano Stati forti, istituzioni dotate di legittimità, antiche tradizioni di diritto. Sono queste istituzioni che vengono meno, quando il neoliberismo si ideologizza. I moderni Pangloss non amano molto la politica - con le sue lentezze, con i suoi bisogni di legittimazione popolare - e non ammettono che essa abbia il primato sui propri piani di salvezza mondializzata. Si può capire meglio in simili circostanze la rivalsa della politica, quale si esprime oggi nell'avvento dei sociahsmi d'Europa. Il neo liberismo ha affrancato le menti e le ha rese più lucide così lucide da concepire l'idea della Moneta Unica, negli Anni 80 - ma le ha anche addormentate: con il suo ottimismo, con le sue imperturbabili indifferenze alle ferite che può aprire una prolungata, rigida disciplina economia. Nella versione neo-bolscevica, questo liberismo ha fallito in maniera colossale: sia in Asia che in Russia. Il vigore dei socialisti nasce da queste impotenze, da questi fallimenti. In maniera contraddittoria, essi si fanno portavoce di una domanda diffusa: domanda di nuove regole nel sistema finanziario internazionale, domanda di un Euro accompagnato da progetti politici, domanda sulla natura profonda delle mutazioni che stiamo attraversando - mutazioni delle famiglie, del lavoro, del tempo libero. Ma c'è soprattutto domanda di uomini politici stile Candide, per l'Europa. Non se ne vedono molti in giro, ma un accostamento al modello non è impossibile. Candide ha preso congedo dalle ideologie, ha demistificato Pangloss. Sa ormai che non tutto va per il meglio, in questo mondo. Sa che non sempre il reale è razionale, e non sempre il razionale è reale. Candide ha gli occhi spalancati sulla realtà, e non racconta né a se stesso né ai propri elettori favole ottimistiche sulle prestabilite armonie che inevitabilmente verranno. ■ Barbara Spinelli

Persone citate: D'alema, Jospin, Lafontaine