Madrid amara per il Generale di Mimmo Candito

Madrid amara per il Generale LA MALEDIZIONE DEL DITTATORE Madrid amara per il Generale Quando si ritrovò solo a piangere Franco MADRID DAL NOSTRO INVIATO Quando, ieri pomeriggio, uno dei suoi avvocati gli ha comunicato che «los madrilenós» gli avevano votato contro, il vecchio dittatore non ha nemmeno badato a quello che poi il legale gli stava ancora dicendo: che «el senór general» doveva starsene comunque sereno, perché alla fine, quel verdetto non cambiava un bel niente, e la partenza per Santiago è soltanto questione di pochi giorni. Tant'è che, già ora, il giudice inglese lo rimetteva in libertà. L'avvocato parlava e parlava, e senór di qua e senór di là; ma il vecchio in veste da camera non riusciva a frenare la stizza che lò rodeva dentro. Ah, gl'inglesi sì, che sono gente a modo, civile e comprensiva; non come questi insopportabili spagnoli, che dal giorno che è morto quel brav'uomo di Franco (Dios lo tenga en su gloria) hanno finito per scivolare nelle mani dei comunisti. Al vecchio gli è sempre andata storta, quando i suoi passi hanno incrociato le cose di Spagna. Intanto, diciamolo, nella sua vita di dittatore non è che Pinochet avesse viaggiato molto: anche se lui avevaraffettuosa amicizia di Nixon e di Kissin ger, il mondo, purtroppo, si lasciava menare per il naso dai «rossi» e non c'era capitale che 10 volesse come ospite. Se ne stava perciò chiuso sempre dentro 11 suo ufficio, a Santiago, e badava a far pulizia come si deve. Il resto, non lo interessava. Fino a quando però, due anni dopo il suo golpe, a Madrid era accaduta quella triste disgrazia, del povero Francisco Franco morto alla fine di 50 giorni d'intubamenti e di resurrezioni, e allora anche per lui, il golpista disprezzato, era arrivato forse il momento di debuttare in società. Era il 22 novembre del '75, e Pinochet atterrò a Barajas accolto con ogni onore. Le frecce della Falange si vedevano dovunque, la Spagna pareva ancora un Paese a posto; lui avrebbe avuto le sue soddisfazioni. Ma si sbagliava di grosso. Le cose stavano cambiando. Già a settembre, quando Franco aveva fucilato cinque «comunisti», e Pinochet aveva mandato al suo collega dittatore di quaggiù un calorosissimo telegramma, quello era stato l'unico appoggio arrivato al Caudillo. Tutto il mondo perfino il Papa - aveva protestato, con asprezza, anche con furore. Luis Apostua, uno dei grandi commentatori di quella Spagna di fine dittatura, se n'era uscito sulla pagina di «Ya» con un commento che pareva anche temerario: «Hay carinos qua matan». Certe amicizie uccidono, disse, e la frase si fece storia. Il debutto in società fu tristissimo. C'erano naturalmente i falangisti di Girón, i fascisti italiani con i loro gagliardetti di Salò, anche i nazisti con le svastiche. Ma non si trovò un solo grande della Terra che volesse venire a rendere omaggio al dittatore spagnolo; e il dittattore cileno si trovò a vegliare il suo collega da solo, chiuso come un pipistrello dentro il suo mantello grigio. Quei pochi «vip» che comunque vennero a Madrid (Scheel era il più importante) si rifiutarono di stringere la mano bagnata di sangue, e non vollero nemmeno stare insiene a lui nella foto ufficiale. Soltanto la Imelda Marcos accettò di posare con il dittatore, ma la fama di Imelda stava tutta nelle sue nozze con un altro dittatore e in quelle 3000 paia di scarpe chiuse in un armadio. Roba da calzolai, insomma. La seconda volta che «Pinocho» incrociò le cose di Spagna fu molti anni dopo, a ottobre del '90, quando Juan Carlos andò in Cile in visita ufficiale. Il dittatore non era più il dittatore, almeno formalmente, e a Santiago c'era un Presidente eletto dal popolo; e il re non ebbe ritegno diplomatico, quando parlò ai deputati: «L'avremmo voluto tanto, ma non siamo potuti venir prima qui, tra di voi, a causa delle particolari circostanze politiche del vostro Paese». Non s'era mai visto un simile schiaffo pubblico. Ancor più bruciante fu però lo schiaffo «privato» che il re aveva dato a Pinochet: sarebbe andato in visita in Cile - aveva imposto - soltanto se avessero tenuto il generale lontano da lui; non voleva stringere quella mano. E per i nove giorni che Juan Carlos girò per quel Paese, esaltando la ritrovata libertà del suo popolo, Pinochet se ne dovette stare nascosto a Iguino, un posto di nessuna storia a più di 1000 chilometri da Santiago. Anche in questo secondo incidente della nostra storia ci fu una frase celebre; disse il re: «In un Paese dove tanta gente è stata peserguitata, torturata, e assassinata, era un obbligo morale parlare del fondamento etico della democrazia che non è altra cosa che il rispetto universale dei diritti umani, la cui difesa costituisce il contributo più nobile della nostra epoca». Ora è arrivata l'estradizione di Garzón, e la Spagna ancora una volta porta male al dittatore di Santiago (incidente numero 3). Ieri comunque qui, in giro, c'era un'aria di profonda soddi- sfazione, quel «somos todos caballeros» che gonfia sempre il petto degli spagnoli e riflette l'orgoglio di chi ha saputo fare bella figura di fronte al mondo. Si tratta tuttavia di un orgoglio a buon mercato, e lo diceva pure quella lingua irriverente di Paco Umbral: «L'Inghilterra ci ha liberato da un grosso peso, la sua giustizia ha risolto per noi il nostro problema di coscienza». Umbral sa che si può pure gridare «bravo» a Garzón e ai giudici dell'Audiencia Nacional però intanto questo è un elogio tutto teorico, e Pinochet comunque se la sfanga. Non sono ubbìe da Azzeccagarbugli, dietro questa storia di Garzón passa comunque il futuro delle relazioni economiche tra Spagna e Cile. Santiago è una delle grandi capitali degli investimenti di Madrid (quasi 2 miliardi di dollari per Endesa, 500 milioni di dollari per la Telefònica, 777 per Banco Santader, 350 per Bhif, 340 per il Banco di Santiago, più 3 miliardi per la vendita di arei, sottomarini e incrociatori). I giudici di Londra e quelli di Madrid, messi assieme, hanno stilato un giudizio che salva capra e cavoli: Pinochet se ne andrà libero, e i diritti umani sono stati però riaffermati. Avanti con il business, ora. Mimmo Candito Juan Carlos attese la fine del suo regno per volare a Santiago E lo umiliò rifiutandosi di incontrarlo Il generale Pinochet andò in Spagna dopo la morte di Franco ma si ritrovò isolato