«Giustìzia per mio fratello ucciso alla fermata del bus»

«Giustìzia per mio fratello ucciso alla fermata del bus» L'ACCUSATORE CHE HA APERTO IL CASO ITALIANO «Giustìzia per mio fratello ucciso alla fermata del bus» ALESSANDRIA OME di battaglia Urbano, scelto in memoria di un combattente cubano al fianco di Che Guevara. Vicente Vergare Taquias, 53 anni, è cileno rifugiato politico in Italia dal '75: come altri cileni in Europa ha denunciato il generale Pinochet per «omicidio, tortura, lesioni gravissime, sequestro di persona, e quant'altro». «Tutti qui mi conoscono come Urbano, per questo ieri e oggi hanno capito che ero io quello della denuncia solo quando mi hanno visto in tv». Nella casa di Regione Sottorocche, a Rivalta Bormida, piccolo paese nella zona di Acqui Terme, Urbano abita solo da quattro mesi, ma ad Alessandria è arrivato dieci anni fa; prima aveva vissuto e lavorato in Toscana. Racconta la sua storia mostrando documenti, fotocopie di articoli di giornale, e il lungo elenco di morti e dispersi durante il regime del generale Pinochet. Quando si unì alla lotta contro il regime del generale? «Il giorno dopo il golpe di Pinochet: era l'I 1 settembre del '73 quando Allende è caduto. E non ho mai creduto che si fosse ucciso. Ma è stata sempre una lotta difficile, senza armi: il governo di Allende aveva detto di fidarsi del "popolo in divisa" e con una legge aveva praticamente eliminato tutte le armi in circolazione fra i civili, erano rimasti qualche bastone e molto raramente si poteva trovare una pistola. Allora lavoravo in una fabbrica di pellami, facevo scarpe ed ero un sindacalista. Così ho iniziato cercando di organizzare la gente del mio quartiere: ci rendevamo conto di aver perso tutte le conquiste dello Stato sociale». Dopo qualche giorno viene individuato dalla polizìa e arrestato. Dove è stato rinchiuso? «Mi hanno preso il 27 settembre. Sono stato portato in una caserma dell'Aeronautica, c'era un enorme hangar e tutt'intorno era stato allestito un campo di concentramento. Lì, insieme ai miei compagni, sono stato torturato e poi per me e altri tre hanno inscenato una finta fucilazione. Siamo stati messi contro un muro e i soldati hanno sparato ma senza colpirci: se le torture non erano sufficienti cercavano di spaventarci così, perché volevano che denunciassimo i compagni di lotta. Ma non abbiamo parlato». Siete .sempre rimasti in quella caserma? «No, poi siamo stati trasferiti nello stadio di Santiago, quello che tutti conoscono. In quello stadio sono rimasto dodici giorni. Mi ricordo che all'entrata c'erano due file di poliziotti coi bastoni e tu dovevi attraversarle: ti massacravano di botte e nessuno mai riusciva ad arrivare dall'altra parte con le sue gambe». Come è riuscito ad uscire dallo stadio di Santiago? «Venne una commissione internazionale per verificare le violenze che subivamo e la violazione sistematica dei diritti civili da parte di Pinochet. A quel punto le autorità furono costrette a liberarci, ma dissero che dovevamo presentarci in una caserma per firmare un registro. Io non mi sono presentato: era un inganno, quelli che sono andati sono stati di nuovo arrestati e portati nei campi di concentramento del Nord». Intanto viene ucciso il fratello di Urbano, Manuel Secundo Vergara Taquias: aveva 38 anni, il suo nome è nella lista che Vicente porta sempre con sé. Morto il 15 ottobre del '73, ucciso mentre era alla fermata dell'autobus: è tra quei nomi che la «Commissione di verità e riconciliazione» ha inserito in un lunghissimo elenco di 2115 persone, uccise o scomparse durante la repressione. Davvero fu un passo verso la verità? «Il rapporto della "Commissione" è una farsa orchestrata dal regime. Mio fratello fu ucciso a una fermata d'autobus: Pinochet aveva vietato gli assembramenti di più persone, ma mio fratello non faceva attività politica. E' stato un "eccesso di repressione". Ma ci sono stati molti più morti di quelli ammessi dalla dittatura. Il rapporto è comunque una delle prove che ho portato alla Procura di Milano per la denuncia: l'ho presentata circostanziata, con documenti e fatti accertabili e non possono non fare un'inchiesta. Certo è che se non ci fosse stato questo ministro forse non si sarebbe fatto mai nulla della mia denuncia. Dopo venticinque anni meritiamo un po' di giustizia». Antonella Mariotti Vicente Taquias, detto «Urbano» esule da ventitré anni ora vive ad Alessandria «I militari spararono per sciogliere un assembramento: gente che aspettava il pullman» Qui accanto Vicente Vergara Taquias mostra il documento che attesta la sua prigionia in un carcere cileno durante il periodo della giunta Pinochet A sinistra, il fratello Manuel Secundo ucciso nel corso della repressione scatenata dopo il golpe dell'esercito cileno nel '73 In alto, Matilde Artes, presidente delle «Madri della Plaza de Mayo», a Madrid ieri davanti al palazzo del Tribunale