Viaggio al confine dell'inferno

Viaggio al confine dell'inferno Sul furgone malandato salgono 11 profughi del Kosovo: il passaggio costa un milione Viaggio al confine dell'inferno Da Tirana a Valona con i clandestini in fuga VALONA DAL NOSTRO INVIATO Non c'è ancora, l'autista. I profughi ci sono già tutti. Quello con il maglione giallo e i fiorellini è Albert, da Ulcin, Kosovo. Porge le mani da contadino, fa dei cenni verso gli altri. Poi si avvicina un furgone che sputa fumo nero. L'autista scende e non dice neanche una parola. Apre le portiere. Si chiama Gilbert. La nostra guida aveva detto che lavora al ministero degli Interni: è un poliziotto. E' lui che porta i clandestini a Valona. Magro, capelli neri corti, una bella faccia, una piccola cicatrice storta sul naso. Il viaggio della fuga si fa lo stesso, perché non c'è che lo può fermare. L'appuntamento è dietro il museo nazionale, un pasticcio di case rosse affacciate su una strada vuota, bagnata dalla rugiada. Le sette del mattino sono passate da poco e a quest'ora, a Tirana, ci siamo solo noi, attorno a un vecchio furgone Ford color giallo arancio con le portiere ammaccate e i fanali che ballano. Undici profughi del Kosovo (otto adulti e tre bambini), l'autista e il cronista. Centomila lek per tutti, poco più d'un milione di lire, a parte noi. Gilbert fa la conta e accende il motore. Il ministro degli Interni italiano, Rosa Russo Jervolino, è appena partito da Tirana dopo aver promesso polizia e leggi contro il traffico dei clandestini. E oggi arriva Lamberto Dini, e arrivano gli altri ministri degli Esteri europei. Il nuovo capo della polizia di Valona, Sokol Kociu, sta in mezzo alla piazza vestito come un damerino a coordinare i posti di blocco e annuncia persino l'arrivo dell'antimafia dall'Italia: «Speriamo bene», commenta, «noi siamo brava gente». Gli scafìsti di Valona bivaccano senza lavoro al Kafé Marina, affacciati sulla baia che nasconde gli scafi nelle grotte ritagliate fra le rocce. Eppure, anche se tutto sembra fermo, il traffico dei clandestini continua senza sosta, come una marcia inarrestabile che passa anche in mezzo alla corruzione. E non si ferma nemmeno oggi, come dimostra il nostro viaggio. Il furgone è partito trabal- lando. Gilbert ogni tanto ingoia una pastiglia e non risponde neanche quando gli parlano. L'unica volta che dice qualcosa, si ferma davanti a un negozio, e scendono in due a comprare hamburger, burak, bottiglie d'acqua e dei rettangoli di pane lunghi come un braccio. Ce ne sarà per qualche giorno. Con loro hanno portato una borsa a testa. Amali è la moglie di Albert. Gli altri sono Bekim, Agrom, Muharem, Zufie, Mamisa. Poi c'è Bekime che per tutto il viaggio si coccola fra le braccia Belush, un piccolo di 2 anni. Gli altri bimbi sono Aziz e Nafir, 8 e 5 anni. Devono andare tutti in Svizzera, dove li aspettano i parenti: sono loro che mandano i soldi per il viaggio. Nessuno parla italiano, o inglese. Neppure Albert, l'unico che conosciamo. Me l'aveva presentato la guida, ieri, per organizzare il viaggio. Una parte della famiglia l'ha lasciata a Gostivar. Dei 5 figli, i 3 più grandi partiranno da Tirana fra qualche giorno. E' da 8 mesi che aspetta di andarsene. Ha raccontato che i serbi gli hanno bruciato il villaggio, che sono venuti con i tanks un giorno che lui lavorava i campi. Sono partiti in 57, da Ulcin, e adesso si muovono a turno per Valona. Hanno bivaccato sulle montagne, qualcuno aveva cominciato anche a far guerriglia, prima di scendere insieme lungo le strade polverose dell'Albania, verso il Sud e verso il mare, trovando passeur come Gilbert che si prendono i soldi e danno una mano. «Ma questi sono buoni», aveva detto Albert. E non sono negrieri, anche se li hanno chiamati così. I negrieri d'una volta caricavano gli africani contro la loro volontà. Questi disperati invece vogliono andarsene e pagano per farlo. «Quelli terribili, quelli cattivi, sono gli scafìsti. Noi ne abbiamo una paura boia, ma non possiamo farne a meno», spiegava Albert. Ieri aveva raccontato che ci aveva già provato due volte a partire da Valona. La prima volta s'era ribaltato lo scafo, a 5-6 chilometri dalla costa. Qualcuno era morto annegato. Uno ucciso. Albert raccontava che lo scafo faticava a uscire dall'acqua quando erano partiti dalla baia Marina. C'era un cinese con loro. Appena al largo, lo scafista l'aveva preso e buttato in mare. Quello gridava aiuto, lui ricorda le sue mani fuori dall'acqua, le onde che lo sommergevano. Avevano chiesto allo scafista se era impazzito. E lui: «Volete andare in Italia? Il gommone dev'essere più leggero. Per questo l'ho buttato». Diceva una bugia, perché il cinese era il più piccolo di tutti, «sarà stato 50 chili». E allora perché l'ha fatto?, avevamo chiesto. «Non so», aveva detto Albert. La seconda volta che erano partiti da Valona, era notte e non vedevano niente. Lo scafo aveva girato per 2 ore, prima di lasciarli sulla terra: «Ecco, questa è l'Italia. Vi verranno a prendere al mattino». Loro avevano aspettato la luce, e solo allora s'erano accorti di essere a Seseno, l'isola che sta di fronte a Valona. Avevano pagato 500 dollari a testa. E perché volete tornare lì? «Perché siamo costretti», aveva risposto Albert. Era venuto al caffè con una giacca nera che luccicava, e non osava appoggiarsi sul tavolo per paura di sporcarla. Aveva chiamato il cameriere per chiedergli di passare lo straccio. «Se l'è messa per te. E' l'unica giacca che ha», aveva sussurrato la guida, Endi. Adesso Albert sogna. Si va in silenzio. Il primo posto di blocco è a Durazzo. Il poliziotto mette dentro la faccia e chiede i documenti. L'autista gli dà solo il suo. Tra i fogli ha messo mille lek, lo dice agli altri quando glielo chiedono: «Njò mijé», mille, dice. Perché qui ci sono pochi poliziotti, se sono di più ne mette duemila. L'agente fa segno di andare. Gilbert ingoia l'ennesima pastiglia per il mal di stomaco e riparte. Da qui a Valona ci fermeranno ancora 4 volte, a Kavaje, Rogozhina, Lushna, Fier. Ogni volta una mancia. Gilbert non fa mai vedere la tessera da poliziotto. Dopo Fier, i posti di blocco li fanno agenti mascherati, tute mimetiche e mitra. Il punto più pericoloso è quello sul ponte di Mifor, perché è l'unica strada d'accesso per Valona. Aveva raccontato Albert che le altre volte si erano fermati ad aspettare la notte, quando toglievano il posto di blocco. Però, adesso, ci fanno passare tranquillamente. Forse conoscono Gilbert. Quando arriviamo a Valona, è quasi mezzogiorno. Lungomare, verso la baia Marina. A un certo punto, si gira a sinistra, per una strada sterrata. Qui devo scendere, perché non posso salire fin su dove portano i profughi. Chissà perché questa è la parte più segreta del viaggio. C'è un muro di mattoni grigi senza un cancello, quattro palme addossate contro, nel cortile di polvere. Di fronte, dall'altra parte del sentiero, c'è un altro muro accompagnato da pini. Gilbert mi fa dei segni, parole che non capisco. Vuole dire che non debbo andare in quel bar, sul lungomare. Ci sono gli scafisti. Il furgone sale sul sentiero lungo la collina. Raggiunge le ville co struite a metà, ne conto 4, 5, e una, la prima, ha una bandiera rossa in cima. Ci sono altre persone dentro, s'intravedono nel le orbite che s'affacciano fra le mura di calce. Non vedo più il furgone, ma si dev'essere fermato davanti a ima di queste case. E' qui che i profughi aspetteranno la notte buona per imbarcarsi sui gommoni. Endi, la guida, passa a prendermi dopo un bel po'. Va in un ristorante piazzato su un ponte che s'allunga sul mare. Sotto c'è una galleria con la scritta Prom Mos Kalò. Ci sono 4 scafisti che mangiano e parlano. Sono vestiti come americani, hanno le scarpe Tods e giubbotti di renna. Dice Endi che stanno parlando di comprare altri scafi. A Valona ce ne sono già 150, mantengono tutta la città, e arricchiscono 500 scafisti. Arrivano due tipi carichi di braccialetti d'oro ai polsi. «Vi abbiamo portato altri 4 profughi da Berat», dicono. Da qui si vede il mare vuoto. Ma chi lo fermerà davvero questo mondo che vuole scappare? Pierangelo Sapegno A ogni posto di blocco l'autista allunga una banconota e l'agente fa segno di procedere Una volta raggiunta la costa si resta nascosti in attesa che gli scafìsti chiamino per la traversata Un gruppo di abitanti del Kosovo. La fuga dei profughi, spesso intere famiglie con bambini molto piccoli, continua attraverso i porti dell'Albania Un'immagine di Valona: la città è la base degli scafìsti che organizzano i viaggi in gommone verso l'Italia Scafìsti in azione sulla costa pugliese: ogni notte decine di imbarcazioni attraversano l'Adriatico con il loro carico di disperati

Persone citate: Aziz, Berat, Lamberto Dini, Magro, Pierangelo Sapegno, Rosa Russo Jervolino, Sokol Kociu