La piccola rivoluzione elettorale inglese di Fabio Galvano
La piccola rivoluzione elettorale inglese Presentato il rapporto sulla riforma: dal maggioritario si va verso un avvio di proporzionale La piccola rivoluzione elettorale inglese Le proposte restano vicine al vecchio sistema Col nuovo emergerà al massimo il 20% dei deputati LONDRA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE L'attesa è stata lunga; ma ieri, puntuale, Lord Jenkins - l'ex ministro laburista Roy Jenkins, successivamente fondatore del partito socialdemocratico e presidente della Commissione Cee - ha presentato l'atteso rapporto sulla riforma elettorale britannica. Era una delle promesse elettorali di Tony Blair; diventata, in mesi recenti, cerniera dell'enterite cordiale fra il New Labour e i liberali di Paddy Ashdown. Ma è stato deluso chiunque si aspettasse una vera e decisiva svolta dall'attuale sistema unmominale maggioritario vince il candidato che raccoglie più voti nella sua circoscrizione - a un sistema proporzionale puro. Di fatto le proposte di Jenkins, per le quali Blair ha da tempo promesso un referendum, restano più vicine al vecchio sistema britannico che alla proporzionale; da cui emergeranno, al massimo, il 20% dei deputati. In ogni caso il progetto non fa l'unanimità. In futuro, nelle intenzioni di Jenkins, gli elettori avranno due voti. Con il primo eleggeranno i deputati in circoscrizioni molto simili a quelle attuali, ma ridotte di numero all'80-85%, con un sistema preferenziale: nel quale continuerà a vincere - come oggi - il candidato che avrà più voti, ma soltanto se raggiungerà il 50%. Se non basterà il primo scrutinio si conteranno anche le seconde scelte sulle schede (eliminate) del candidato ultimo piazzato, e poi su quelle del penultimo, del terzultimo e così via. La novità sostanziale è il secondo voto, con il quale si decideranno il 15-20% dei seggi. Vera proporzionale, dove il voto sarà dato non a candidati ma a liste di partito presentate su base regionale. In questo modo anche i partiti più piccoli potranno trovare maggiori spazi. Jenkins ritiene che le attuali 659 circoscrizioni dovranno essere ridotte a 530-560 per trovale spazio a 98-132 seggi da attribuire con la proporzionale. E' una rivoluzione, per la Gran Bretagna; ma di fatto, proiettando il nuovo sistema sulla ultime quattro elezioni, soltanto in un caso (nel 1992, quando vinse a sorpresa e di misura John Major) ci sarebbe stata la temuta impasse. In quelle del maggio 1997, vinte da Blair, i laburisti avrebbero conquistato 368 seggi anziché 419, i conservatori 168 invece di 165, i liberali 89 e non 46. La maggioranza del governo - ora di 179 seggi - sarebbe stata di 77. Le prime reazioni sono state disparate. Il liberale Ashdown, il cui partito sarebbe in effetti il maggiore beneficiario del nuovo sistema, ha parlato in toni entusiastici di «uno storico passo avanti nella co- struzione di una democrazia moderna». I conservatori, che potrebbero trarne qualche beneficio come per esempio ima ricomparsa politica in Scozia e in Galles, antepongono la tradizione alla convenienza politica: «Siamo soddisfatti dell'attuale sistema», ha detto il presidente del partito, Michael Ancram. I Tories, insomma, si opporranno. Temono infatti che il nuovo sistema accrescerebbe i rischi di coalizioni e difficili equilibri politici. Tony Blair l'ha accolto invece con cautela. «Bene argomentato», ha definito il rapporto Jenkins. Ma soprattutto, ha detto, il rapporto «affronta alcune debolezze dell'attuale sistema, come l'assenza di conservatori da Scozia e Galles e quella dei laburisti, negli Anni Ottanta, da alcune zone del Sud dell'Inghilterra». Ma il suo partito è spaccato e per questo lui non si sbilancia. Prima del promesso referendum - ma ha tempo, potrebbe essere dopo le prossime elezioni dovrà affrontare l'esame, con esito per nulla certo, del New Labour. Fabio Galvano L'ex ministro laborista Roy Jenkins
Luoghi citati: Galles, Gran Bretagna, Inghilterra, Londra, Scozia
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