Referendari all'attacco di A. Rap.

Referendari all'attacco Referendari all'attacco No a «rifondazione democristiana» Cossiga li lascia: punto sul governo ROMA. «Ci stiamo preparando a sfasciarli... coni e si fa con i bebé» è l'avviso che Antonio Di Pietro dà a quelli che considera gli avversari del referendum per ridurre la quota proporzionale. E li elenca uno per uno i «nemici»: popolari, Udr e dimani. La «Rifondazione democristiana» li chiama l'ex pubblico ministero che si è aggregato al referendum lanciato da Segni, Occhetto e tanti altri. Il fatto è che da quando è arrivato Di Pietro il significato del referendum è mutato. Da tentativo di rafforzare il sistema maggioritario, sta prendendo il senso di spallata ai partiti oggi sul campo. Magari per crearsi lo spazio per farne nascere altri. Ieri i popolari hanno rinfacciato a Di Pietro di aver già fatto un passo in questo senso. «Era un passo obbligato per farci sentire all'interno delle istituzioni» è stata la spiegazione di Di Pietro. La conseguenza è che cresce lo schieramento di quanti preferiscono risolvere in Parlamento il problema della riforma elettorale, temendo che Di Pietro si appropri del risultato della consultazione popolare. Tra questi c'è, ora, anche Francesco Cossiga, che è uno dei promotori del referendum «che non è di Di Pietro, ma è di Segni e anche mio». Il presidente della Udr è convinto, infatti, che al referendum non ci si arriverà «in quanto penso che il governo ce la faccia a fare le riforme». Tema di cui ha lungamente parlato ieri mattina col presidente del Consiglio. Il governo di D'Alema punta in modo determinato a realizzare quanto meno la riforma elettorale. Sperando che poi il resto seguirà. Ieri il neoministro per le Riforme, Giuliano Amato, ha cominciato a consultare le opposizioni ed ha incontrato i rappresentanti della Lega. Dai quali si è sentito dire che a loro interessa la riforma federale dello Stato. E che preferirebbero la riforma elettorale che piace a D'Alema (doppio turno di collegio), piuttosto che quella che piace a Berlusconi In queste ore, in realtà, i partiti stanno solamente prendendo posizione sulla linea di partenza. La trattativa deve ancora cominciare. Per il via si attende che i partiti maggiori chiariscano quel che vogliono. I Democratici di sinistra, per esempio, hanno i loro ulivisti che preferirebbero il referendum. La'linea ufficiale, annunciata ieri da Soda, è però doppio turno di collegio ed elezione diretta del Presidente della Repubblica''come figura^di «garanzia e con poteri limitati alla politica estera e alla difesa». E' una offerta fatta soprattutto per. .convincere Gianfranco Fini, che'attualmente è paladino del referendum. Sulla sponda del Polo, Silvio Berlusconi sta facendo una riflessione strategica sul futuro del suo partito. Rimanere sempre legato ad An, col rischio di non recuperare consensi dei moderati di centro, o allentare quel vincolo per avere le mani più libere? Fini, presidente di An, ovviamente non vuole essere lasciato solo a destra e punta sul referendum come arma per impedire il ritorno a sistemi che lo isolino. «Prima di discutere del modello elettorale - ha detto ieri Fini alla riunione dei dirigenti del Polo - bisogna confermare il maggioritario. C'è chi dice, sussurrando apertamente, che bisogna tornare al sistema proporzionale». E, va ricordato, Berlusconi era parso tentato dal proporzionale qualche mese fa. Ma Berlusconi non è convinto dell'utilità del referendum e prende tempo. Così il «vertice» del Polo si è concluso con una cautissima disponibilità a discutere di riforma elettorale. «Facciamo questo tentativo di trovare un accordo. Se riuscirà, vorrà dire che a quel punto si andrà a votare...», ha detto il Cavaliere ai suoi alleati. [a. rap.]

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