Angelopoulos, dinosauro contro i nuovi barbari
Angelopoulos, dinosauro contro i nuovi barbari Roma: parla il regista de «L'eternità e un giorno», Palma d'oro a Cannes Angelopoulos, dinosauro contro i nuovi barbari ROMA. Il mondo dei computer e di Internet gli è completamente alieno; lo strapotere del modello culturale americano lo allarma nel profondo, così come lo preoccupa il fatto che la società in cui viviamo stia diventando nient'altro che «l'insieme di milioni di sohtudini, priva com'è di qualunque senso comunitario e inevitabilmente spinta verso il ritorno alla barbarie totale». Appassionato e combattivo, severo ma anche ironico, il maestro greco Theo Angelopoulos, a Roma per promuovere l'uscita di «L'eternità e un giorno», il film con cui ha vinto la Palma d'oro all'ultimo Festival di Cannes, dice di trovarsi a suo agio nelle parole dell'attore tedesco Bruno Ganz, che lo descrive così: «Un dinosauro a cui non importa nulla delle mode, che parla in una maniera poetica, secondo una sua musica interiore, seguendo una strada che potrebbe condurre all'armonia con noi stessi». Spaziando tra ricordi personali e citazioni letterarie, tra confessioni intime e momenti di commozione, come quando rievoca l'ultimo incontro con Marcello Mastroianni o il recente colloquio con Michelangelo Antonioni, amato fin dai tempi della giovanile passione cinefila («Ho pagato tredici volte il biglietto per vedere "L'avventura"), Angelopoulos spiega il senso del suo cinema, a partire dall'ultimo film in cui, accanto al protagonista Ganz (lo scrittore Alessandro) recitano Fabrizio Bentivoglio e Isabelle Renauld. Come nasce l'idea di «L'eternità e un giorno»? «L'origine del film è nelle lunghe chiacchierate tra me e Gian Maria Volontè; direi che questo, dopo "Il passo sospeso della cicogna" e "Lo sguardo di Ulisse", è il terzo titolo della trilogia che ho dedicato al problema delle frontiere, cioè della comunicazione tra culture diverse, geograficamente separate. Curiosamente è venuto fuori un film fatto come un puzzle, con materiali non omogenei, centrato sul dilemma tra scrivere o vivere e soprattutto sul rimpianto per quello che non è stato vissuto». E' vero che al posto di Ganz, nel ruolo del protagonista, doveva esserci Marcello Mastroianni? «Sì, l'idea di partenza era quella; purtroppo durante il nostro ultimo incontro, nell'ottobre di due anni fa a Milano, fu proprio Mastroianni, già gravemente malato, a dirmi che non avrebbe potuto fare questo film. Andammo a cena insieme, dopo il suo spettacolo, e io gli parlai della sceneggiatura raccontandogli che quelli che l'avevano letta dicevano tutti "sarà un film malinconico". Marcello mi guardò e mi disse "No Theo, la poesia non è mai malinconica"». Che cosa c'è di se stesso in questo suo film? «C'è una sensazione forte, quella di averlo girato come se stessi scrivendo una lettera alla mia famiglia, a mia moglie, agli amici. Una volta mia figlia in lacrime mi ha detto "Papà quando ho bisogno di te non ci sei mai e quando ci sei in realtà sei come assente". Ecco, questo film è la mia risposta». Al centro di «L'eternità e un giorno» c'è anche il tema del linguaggio, la necessità di difenderlo dalle contaminazioni. «Sì, sono d'accordo con Heidegger quando dice "La nostra sola casa è la nostra lingua madre". Comunque il discorso sulla lingua ha anche un senso metaforico: voglio di¬ re che bisogna difendersi, che trovo preoccupante il fatto che in Francia esista un dizionario di "franglese", segno tangibile dell'invasione deir'american way of life". In questo momento i giovani dei nostri Paesi non hanno nessun altro referente che non sia legato al prodotto audiovisivo americano, e questo da tutti i punti di vista: estetico, morale, etico. Il cinema, invece, dovrebbe conservare un linguaggio incontaminato, originale, ma gli stessi critici spesso non lo capiscono e giudicano 1 film rifacendosi a un modello che poi non è altro che quello del cinema e della tv d'oltreoceano». Fulvia Caprara «Siamo schiacciati tra strapotere americano e mondo alieno di Internet: dobbiamo difenderci dalle invasioni culturali» «Mastroianni doveva essere il protagonista del film ma era già troppo malato, cenammo insieme a Milano mi rasserenò con la poesia» Una scena del film «L'eternità e un giorno», e, sopra, il regista greco Theo Angelopoulos
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