L'oppio dell'opera di Sandro Cappelletto

L'oppio dell'opera Va in scena questa sera a Roma «l'isola disabitata», mentre esce una nuova biografia del poeta L'oppio dell'opera Così Metastasio sopiva le nevrosi del 700 PROMA ERFINO in quella «picciola isoletta» dove vengono catapultati da una 1 tempesta - spiazzante, propedeutico stratagemma narrativo assai in voga in quel volger di anni - i nostri quattro eroi ritroveranno la bussola dei sentimenti e delle regole. Il grande architetto dell'ordine, Pietro Metastasio, non cambia registro: anche L'isola disabitata, Inazione teatrale» che va in scena questa sera al Teatro Olimpico per la stagione dell'Accademia Filarmonica Romana, conferma l'adesione del poeta di corte alle convenzioni che ne fecero il letterato prediletto déU'ancien regime. In questo luogo immaginario il mondo non va «alla roversa», come diceva Goldoni, e gli schiavi non diventano padroni, come si divertiva a scrivere Marivaux in un testo che non sfuggì all'attenzione di Giorgio Strehler. Metastasio no, lui non concede nulla all'utopia; eccolo, implacabile, il coro che alla fine della breve vicenda esce a rassicurarci: «Allor che il Ciel s'imbruna,/ Non manchi la speranza/ Fra l'ire del destin./ Si stanca la Fortuna,/ Resiste la Costanza ;/E si trionfa alfin». Il verso è tronco e perentorio, le peripezie sono dimenticate, i pirati non raggiungeranno il loro scopo, la civiltà dell'amor coniugale è più tenace di ogni concessione alle tentazioni selvagge: Costanza e Silvia, Enrico e Gernando si ritrovano uniti, gli uomini non sono, sentenzia il poeta, «inumani e infidi». Anche questo testo coinvolse molti compositori, tra cui Joseph Haydn; per la serata romana è stata recuperata, da Lisbona, la partitura di Niccolo Jommelli, gran maestro della scuola napoletana e buon ami co di Metastasio, che conobbe a Vienna, dove era giunto in anni crepitanti di riforme, alla vigi ha dell'irruzione nel teatro musicale di Gluck e Mozart. Dopo il debutto nel 1761 l'opera non è stata più eseguita in epoca moderna: la riesumazione, affi- data per la direzione a Rinaldo Alessandrini, per la regia a Stefano Monti, appare dunque un contributo significativo in occasione del terzo centenario della nascita di Metastasio, le cui celebrazioni non sembrano sfuggire alle spire di un consolante accademismo, attento a ribadire i dati già noti. La ricchezza della lingua metastasiana, la sua perfetta predisposizione metrica alle esigenze dell'aria d'opera e a quell'etica «degli affetti» che di lì a pochi anni sarà giudicata, nella sua prevedibilità, intollerabile. Verrà poi la condanna politica di Vittorio Alfieri, che rimprovera al poeta di corte la «genu¬ flessioncella» davanti al potere. Con gusto speciale, allora, si condivide la recentissima avventura linguistica-narrativa di Giovanni Morelli, accademico tanto illustre quanto bizzarro, motore primo della Fondazione Giorgio Cini di Venezia. Paradosso del farmacista titola il suo volume pubblicato da Marsilio: il placido, rubizzo, florido poeta (così, infallibilmente, ci viene consegnato dall'iconografia d'epoca) era in realtà un ipocondriaco inguaribile: «il suo bell'aspetto» altro non è che una maschera utile a «confutare, disdire e quasi bugiardare quello stato di malattia sempiterna e oppressiva» di cui soffriva. Per non lasciar dubbi sulle intenzioni, i capitoli si snodano come bollettini medici diramati dalla stanza d'ospedale dove sta spirando l'opera in musica di stampo, appunto, metastasiano: Gli innocenti cancheretti, Una gran brutta botta, fino all'epitaffio conclusivo: Morire di placebo. Il poeta (e nulla sfugge allo sguardo morelliano: lettere, poesie, arie e ariette) come gran dispensatore d'oppio sulle nevrosi del secolo, che le sue liriche devono sopire. Ecco il senso segreto della delizia eterna dell'aria con «da capo»: riprendere infinite volte gli stessi versi aiuta a bloccare il tempo del¬ la storia, le sue troppo faticose esigenze. Il saggio - ma forse è un romanzo, anzi un'epistola d'amore inviata ai musicisti, oppure un referto medico autoptico sul Settecento, e soprattutto una tesi sulla sempiterna nostra necessità di avere a portata di mano dei potenti sedativi - considera come episodio centrale nella corsa della mente metastasiana verso la catastrofe il «patatrac» di Lisbona del 1755. Chiunque avesse un po' di sale in zucca, avrebbe ritenuto poi difficile, dopo quel terremoto, «ogni affermazione di positività dell'esistenza». Lui no, anzi prosegue in un'attività letteraria industriale, paragonata da Morelli a «una svendita sottocosto» della consolazione. Da Vienna, cuore dell'impero e della musica, ingozza di arie sedative musicisti, cantanti, pubblico, se stesso. Un «ecosistema regressivo», compiutamente reazionario, splendido nella persuasione che «svanire sia la ventura delle venture». Metastasio lo sapeva benissimo, assieme ai suoi interpreti più consapevoli, i cantanti che nelle loro gole inanellavano le perle di quel bel canto morituro. Sandro Cappelletto Letterato prediletto daU'«ancien regime», ingozzava di «arie sedative» pubblico, musicisti, cantanti. Fu accusato da Alfieri per la «genuflessioncella» davanti al potere Qui accanto Pietro Metastasio ritratto da Batoni; in alto, da sinistra Carlo Goldoni e Marivaux

Luoghi citati: Lisbona, Roma, Venezia, Vienna