DERRIDA di Umberto Eco

DERRIDA Un grande pensatore, celebrato e discusso: dall'Università di Torino laurea honoris causa per il filosofo francese DERRIDA come un ladro nella notte J NA laurea ad honorem è sempre un avvenimento solenne e ufficiale, che consacra personaggi indiscussi. Il caso di Derrida è diverso. Sebbene la facoltà di Torino si sia trovata d'accordo nel decretargli il riconoscimento, non è stato lo stesso per altre mùversità in giro per il mondo; da ultimo, se non ricordiamo male, a Cambridge, dove solo dopo aspre discussioni i sostenitori della candidatura del pensatore francese hanno avuto la meglio sugli avversari. Benché pochi dubitino dei suoi meriti «scientifici» - numero e valore delle pubblicazioni sui più vari temi della filosofia, anche della storiografia filosofica, quella che richiede la conoscenza della bibliografia, le citazioni esatte, la fondatezza filologica delle interpretazioni testuali - Derrida resta nel pensiero contemporaneo un segno di contraddizione, che suscita grandi amori e odi altrettanto radicali. La sua posizione teorica, nota come pensiero della decostruzione o decostruzionismo, è oggi di gran lunga la più conosciuta e discussa nella maggior parte delle università del mondo, anche e soprattutto per le significative «applicazioni» sia alla critica letteraria e artistica, sia alla politica e alla critica della società. Ciò vuol dire che Derrida non è solo un (ottimo) tecnico della filosofia, senza peraltro essere un divulgatore o un personaggio da talkshow. La sua influenza sulla cultura contemporanea è senz'altro mediata dal fatto che si colloca comunque entro una tradizione disciplinare (per capirlo bisogna sapere almeno qualcosa di Hegel, Nietzsche, Husserl, Heidegger, Lévinas...); d'altra parte però, come pochi altri filosofi del suo calibro, ha anche qualcosa da dire a chi non s'interessa alla soluzione di problemi filosofici in senso specialistico. Tra i suoi maestri, almeno per ciò, quello a cui è sicuramente vicino è Heidegger molto più che Husserl, a cui pure lo legano tante cose. Heidegger è stato, insieme, un filosofo «difficile» - anche Derrida certamente lo è - e un pensatore esistenziale, che parla potenzialmente a tutti, come la filosofia era usa fare in tempi in cui non si riduceva ancora a voler essere una scienza tra le scienze. A tutti, per esempio, parla la sua peculiare versione della «scuola del sospetto» che caratterizza tanto pensiero otto-novecentesco. Il sospetto nei confronti dei valori superiori, dei grandi enunciati della morale, della metafisica, della religione, che Marx svelava come ideologie, cioè falsificazioni non consapevoli dirette alla difesa di interessi di individui e di gruppi, Derrida lo radicalizza sulla traccia di Nietzsche; anche lui, come Nietzsche, non pensa che si possa mai davvero svelare la verità ultima degli errori dell'ideologia, giacché ogni esperienza è già sempre «seconda» rispetto a un'origine che non si è mai data in presenza. Nietzsche insegnava che bisogna diffidare soprattutto di ciò che ci appare più evidente e indiscutibile; Derrida liquida il mito della presenza. Ogni esperienza che facciamo è già sempre mediata dalla parola, dalla lingua, da un insieme di schemi che ereditiamo, e che «traducono» l'impressione immediata in rappresentazioni e concetti. E la lingua a sua volta è, prima ancora che parola parlata, scrittura: non che s'impari a scrivere prima che a parlare, ma il meccanismo dell'uso della lingua è analogo a quello della scrittura in quanto ogni espressione si costruisce sulla base di un codice precedente, come se fosse un vocabolario scritto, tramandato. La nostra esperienza del mondo è dunque sempre mediata da codici, grammatiche, sistemi di aspettative che allontanano da noi la presenza immediata della cosa. Poiché cosi è sempre, pare che non ci sia niente da fare: perché agitarsi per criticare l'ideologia, se poi ciò a cui arriviamo è solo un'altra forma di «errore», giacché non sarà mai la cosa stessa in presenza? La «decostruzione» che Derrida pratica, studiando testi filosofici, letterari, artistici, ha tuttavia un senso emancipatorio: anzitutto perché mostrando il carattere secondario, derivato, non originario dei sistemi di valori, toglie loro l'autorità perentoria con cui cercano d'imporsi a noi. Non gli oppone certo un'altra verità ultima e vera. Per questo giustamente si usa avvicinare Derrida all'ermeneutica di derivazione heideggeriana; nella quale l'effetto liberante del pensiero non consiste nel farci arrivare alla verità assoluta, ma nel prepararci a saltare, come dice Heidegger, nel «liberante abisso della tradizione». E' solo giocando, contro le pretese di certi aspetti della tradizione, altri elementi della nostra eredità culturale che ci rendiamo liberi. Ciò vale anche politicamente. Almeno così pensano molti discepoli «radicali» di Derrida, per esempio molti esponenti del movimento femminista, che si ispirano alla sua decostruzione del linguaggio dell'Occidente per svelarne i meccanismi di dominio - talvolta spingendosi fino alla caricatura del «politically correct». Solo questo, però? Solo un rimescolamento dell'eredità culturale per mostrare che nessun aspetto di essa ha l'autorità definitiva davanti a cui la nostra libertà dovrebbe inchinarsi? L'idea che la presenza è già sempre duplicazione e mai origine piena spinge Derrida anche in un'altra direzione, diventata sempre più significativa nei suoi scritti recenti, dove è più sensibile l'influenza di Emmanuel Lévinas, e dove si risente sempre di più il suo legame con la cultura ebraica. Se la presenza è già sempre solo traccia di altro che non si lascia mai cogliere direttamente, ciò non vuol dire che possiamo attenerci tranquillamente al dato; anche la decostruzione è mossa da una tensione. In Lévinas, come si sa, questa tensione si esprime nel disporsi all'accoglienza dell'altro - l'altro uomo che si rivolge a noi e a cui dobbiamo risposte e aiuto perché il suo volto, dice Lévmas, è rivolto verso quell'Altro che è Dio stesso. Derrida pensa che ciò che ci muove nel riconoscere il presente come semplice traccia è una tensione verso l'altro che non si configura, in lui, come opzione religiosa esplicita. A differenza di Lévinas, l'altro di Derrida non è il Dio della Bibbia. E' magari l'extracomunitario che preme alle nostre frontiere come portatore di altre visioni del mondo, di altri valori, e che può rappresentare quella scossa di cui la decostruzione ha bisogno per non rimestare soltanto nel chiuso della nostra tradizione. Rifiutarsi di dare un nome preciso (anche quello di Dio) all'altro che sempre aspettiamo urta contro la lettera del messaggio biblico, ma forse non fa che rispettare l'avvertimento apocalittico di Gesù, secondo cui il Messia verrà come un ladro nella notte, e noi dobbiamo vigilare e pregare (pensare, decostruire...) perché non conosciamo né il giorno né l'ora. Gianni Vattimo Guru mondiale del «decostruzionismo»: le sue teorie hanno trovato applicazione nella critica letteraria e artistica come nella politica Dal sospetto radicale verso tutte le ideologie e le verità stabilite alla liberazione attraverso il recupero di altri elementi della nostra eredità culturale manzo»), la Interuis Avila usserl, a ose. Hein filosofo a certaer essere rla la sua cuola del za tanto co. Il solori supedella moa religiome ideolo consapeteressi di rida lo raNietzsche; che, non vero sverrori delsperienza rispetto a ai data in iata dalla n insieme mo, e che ne imme e conceta è, prima a, scritturivere priccanismo analogo a uanto ogni sulla base L'UOMOJacques Derridaespulso dalla scrienza di rigettosul contrasto traAllievo di Jean Hun lavoro su Hunente di spicco dfortune dell'erml'ambito delle hdei suoi testi piùJaca Book), nel di cui uno ricevzione» (il terminHeidegger) consrapporto fra i duFra le altre operdella filosofìa ( 1e Politiche dell'a«Amici» e «nemici» di Derrida come avversari su un campo di calcio. Un gioco, naturalmente, perché il filosofo francese per primo ama poco le classificazioni. Nella squadra da lui capitanata abbiamo inserito fra gli altri la semiologa-psicanalista Kristeva, la filosofa femminista Irigaray, un rappresentante del pensiero ebraico come Lévinas. Nella squadra avversaria, capitanata da Searle e composta in gran parte da esponenti del pensiero analitico, figurano anche Marcus (l'allieva di Carnap), il fisico Sokall e gli italiani Viano e Paolo Rossi. Arbitro Umberto Eco che con i suoi scritti critici ha assunto una posizione equidistante. di un codice pfosse un vocabmandato. La nomondo è dunqda codici, gramaspettative chela prdella semprnientetarsi pgia, semo è solo un'are», giacché nostessa in presenLa «decostrupratica, studialetterari, artistsenso emancperché mostracondario, derivdei sistemi di vatorità perentord'imporsi a noito un'altra veriquesto giustamre Derrida all'evazione heidegl'effetto liberanconsiste nel farità assorarci a Hrdità cultuliberi. Ciòmente. Almenodiscepoli «radiesempio molti mento femminalla sua decostgio dell'Occidmeccanismi dspingendosi fin«politically corSolo questoscolamento d «Amici» e «nemici» di Derrida come avversari su un campo di calcio. 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Luoghi citati: Cambridge, Torino