Buon viaggio, vecchio John di Gabriele Romagnoli

Buon viaggio, vecchio John REPORTAGE TRA IFANS A CAPE CANAVERAL Paura per il cuore dell'astronauta settantasettenne e allarme attentati per l'arrivo di Clinton Buon viaggio, vecchio John Stasera Glenn ritorna nello spazio CAPE CANAVERAL DAL NOSTRO INVIATO Nel reparto oggetti-ricordo del «John Kennedy Space Center» ci sono due magliette che celebrano l'irnrninente ri-lancio del più vecchio astronauta di tutti i tempi e gli spazi. Su entrambe è stampato il motto «Vai con Dio, John Glenn». Ma una è bianca e reca la scritta in colori vivaci su sfondo di stelle e orizzonti di gloria. L'altra è nera e le parole sono listate su una base dorata, come iscrizione di faraonico sarcofago. Le torme di visitatori lanciati al saccheggio si fiondano su quella bianca e si portano via felici il souvenir dell'estrema illusione. Quella nera rimane a dondolare sulla sua croce, presagio respinto di una festante vigilia. Eppure esiste, nel cielo artificiale di questo spot della Nasa, la faccia oscura della Luna, la maglietta nera di John Glenn, la possibilità che il razzo esploda, che il cuore del grande vecchio impazzisca di gioia e tormento, che un matto arrivi fin qui con un ordigno e lo dedichi a lui, al presidente Clinton e alle celebrità della tribuna vip. Lo ammettono apertamente il portavoce dell'agenzia spaziale Brian Welch («No, le sacche per i cadaveri non sono a bordo») e il capo della sicurezza Paul Morris («Sì, abbiamo ricevuto qualche minaccia»), ma solo per esorcizzarlo e perché anche questo fa paite della propaganda di un rilancio che non ha altre ragioni d'essere se non la realizzazione del sogno di un uomo e la riaccensione di quelli di un ente governativo e dell'intero popolo che lo finanzia. Alla fine, l'unica persona capace di accettare serenamente la morte di John Glenn sarebbe lui stesso: l'ultimo desiderio e via, in una fiammata di eroismo. Ma non accadrà: Glenn è il Sopravvissuto Designato, corridore di staffetta che passa il testimone a se stesso, piuttosto che fermarsi, e quando guarderà il prato di 250 mila steli umani venuti a fremere per lui, vedrà solo augurali magliette bianche. Per tutta questa gente e per l'intera America, John Glenn è l'Uomo dei sogni. Come quello del film con Kevin Costner, che sentiva una voce dallo spazio dirgli: «Se lo costruisci, loro verranno» e spianava il campo dietro casa per fare un campo da baseball e mettersi a smazzare con i fantasmi delle vecchie glorie, convincendo il pubblico che sì, era possibile giocare anche contro il tempo. Il sogno di Glenn ha portato, invece, alla ricostruzione di questa rampa di lancio che stava arruggmendo nel magazzino della memoria e guarda ora come splende, in questa luminosa mattina di attese. Lui l'ha fatta costruire e loro sono venuti. Loro sono tutti quelli che ci credono, i portatori sani di illusioni, il Paese reale dell'ottimismo, delle magliette bianche e degli slogan che aiutano a non fermarsi. «Reach for the stars», raggiungi le stelle, ha scritto sul quaderno degli auguri, al centro visitatori, Todd Garrett del New Jersey. «Sogna il sogno, ma poi vivilo», ha aggiunto un altro, firma illeggibile. Warren Hunt della Florida: «Ero qui trentasei anni fa e ci sono di nuovo oggi, a pregare per te, che ci dimostri come tutto sia ancora possibile». Sotto i miei occlù una bambina di 12 anni, di nome Janet Montgomery, ha scritto a Glenn: «Vorrei essere te». Perché? «Perché ha vissuto il doppio». Lui ha costruito il sogno e loro sono venuti. In file chilometriche; lungo strade in bilico sull'acqua; saturando i motel affac¬ ciati su laghi e paludi; regalando venti insperati milioni di dollari a chi malediceva l'anno degli uragani; pagando venti dollari per un posto sull'erba dal quale, è stato loro garantito, si potrà vedere la fiammata, sentire il boato, annusare un po' dell'odore del miracoloso combustibile; mangiando da «Fat Boy» («pasto gratis a tutti gli astronauti ultrasettantacinquenni»); scaricando nelle centinaia di cessi portatili deposti lungo i sentieri della ba¬ se; sudando, sputando e, però, sognando: che esistano ancora degli eroi, una causa e ci sia sempre un'altra possibilità dietro l'angolo del tempo. Non importa se è uno spot a raccontarlo. A nessuno qui e ora interessa che la missione abbia un valore1 scientifico limitato, che Glenn partecipi a un ottavo degli esperimenti, che la sua presenza sia stata anche un calcolo politico («che torni nello spazio, purché ci resti» fu l'opi¬ nione espressa a suo tempo dai repubblicani). Il vero esperimento è sulla forza delle convinzioni, il potere della fiducia e i limiti dei desideri. Per questa gente venire a Cape Canaveral per vedere Glenn che ri-parte per lo spazio sarebbe come andare allo Yankee Stadium a guardare Joe Di Maggio che torna al baseball, in una partita vera, correndo da una base all'altra con tutti i suoi anni in spalla e il rischio di stramazzare abbattendo una leggenda. Ma lui l'ha costruita e loro sono venuti. Come l'Uomo dei sogni, Glenn ha ridato vita a una schiera di fantasmi dimenticati. Ha riesumato T. J. O'Malley, l'uomo che premette il bottone nero della partenza trentasei anni fa; Dee O'Hara, l'infermiera che gli prelevò il sangue; Carpenter, Schirra e Cooper che fecero equipaggio con lui e domani gli faranno il conto alla rovescia in tivù. La gente li guarda sfilare come celebrità sul prato di Cape Canaveral, chiede loro autografi, regalando orgogli autunnali. Perfino il tempo meteorologico, come quello dei calendari, sembra inchinarsi ai desideri e, spazzate le code dell'uragano Mitch, garantisce il 100% di serenità al momento del lancio (oggi, ore otto della sera italiana, con possibile rinvio fino a due ore e mezzo più tardi). Basterebbe anche questo cielo qui, per accendere la fantasia e Discovery, questo su cui John Glenn, dopo aver salutato da lontano con la manina e «il proverbiale sorriso», si alza nell'ultimo volo di allenamento su un jet prudentemente pilotato da un altro. Applausi e sventolìo di bandiere. Entusiasmo e fiducia. John Glenn non può morire perché è il Sopravvissuto Designato e perché nessuno ci lascia mai le penne in uno spot pubblicitario. Come il Grande Gatsby all'ultima pagina del suo romanzo, «è venuto da molto lontano e il suo sogno deve essergli sembrato ^così ' vicino che sarebbe stato impossibile non realizzarlo, ma non sapeva di èsserselo già lasciato alle spalle». Gabriele Romagnoli Davanti alla base 250 mila ammiratori con maglietta di auguri Ma si vende (molto meno) anche una T-shirt nera con iscrizione funebre Un'immagine dell'ultimo > lancio dello Shuttle e il saluto di John Glenn ai suoi ammiratori

Luoghi citati: America, Florida